Afghanistan: gli attacchi dei talebani scoraggiano l'affluenza alle urne
In Afghanistan i talebani hanno espresso soddisfazione per i numerosi attentati che
hanno segnato le elezioni di sabato scorso. In un comunicato i ribelli affermano che
ha avuto successo il loro appello al boicottaggio. Le autorità di Kabul, invece, hanno
apprezzato lo sforzo dei circa 4 milioni di afgani che si sono recati alle urne. Intanto
sullo spoglio si allunga l’ombra delle numerose irregolarità denunciate in queste
ore. Il presidente Karzai ha annullato il suo viaggio a New York per l’Assemblea generale
dell’Onu, proprio per seguire da vicino il conteggio delle schede. Ma per un commento
su questa tornata, Giancarlo La Vella ha intervistato Alberto Negri:
R. - Vi darei
il commento subito del comandante delle truppe americane, generale Petraeus, il quale
ha dichiarato di aspettarsi un peggioramento delle cose. Ma questo cosa significa?
Significa che in realtà queste elezioni hanno dimostrato una forte crisi di fiducia
da parte degli afghani. La partecipazione è ben al di sotto della metà; molto meno
delle presidenziali del 2009, quando andarono a votare in 6 milioni. Questa volta
sono 4 o forse ancora meno. Non si sa neppure, peraltro, quanti siano gli afghani
aventi diritto al voto.
D. - Per alcuni osservatori, a questo punto,
sarebbe più opportuno aprire quel famoso dibattito con i talebani, se non altro le
frange più moderate dei talebani...
R. - Qui in Afghanistan ci sono
due cose da dire. Da una parte c’è una strategia militare che ha visto un aumento
delle truppe internazionali, con l’obiettivo poi di aumentare contemporaneamente la
presenza delle truppe afghane e questo è sul fronte della sicurezza; dall’altra parte,
sul fronte della strategia politica, a parte poi cercare in qualche modo di dare una
certa credibilità a un governo che ne ha poca, quella dei negoziati con i talebani
mi sembra ormai una strada obbligata. Questo lo auspica lo stesso generale Petraeus,
ormai. Non c’è altra via per cercare in qualche modo di ricostruire un Paese. Si parla
soprattutto di inclusione: riportare cioè dentro la società afghana coloro che sono
ai margini.
D. - Si può fare un parallelo tra Iraq ed Afghanistan?
R.
- Si possono fare quando si parla, per esempio, del tentativo - come fece il generale
Petraeus in Iraq - di coinvolgere le milizie sunnite, che erano rappresentanti del
malessere dei sunniti rimasti ai margini dopo la caduta di Saddam Hussein: anche in
questo caso, forse, si può fare un ragionamento in parallelo con i talebani. Ma ci
si ferma qui, perché la situazione in Afghanistan è ancora forse più frammentata e
ancora forse più complessa. In Iraq abbiamo ormai un Paese diviso in tre: con il Kurdistan
che è una regione autonoma, praticamente; il Sud popolato dagli sciiti e che va -
anche esso - un po’ per conto suo; e, una regione centrale dove sunniti e sciiti si
contendono un po’ il governo centrale di Baghdad. In Afghanistan la situazione è molto
più complessa e, oltretutto, le influenze esterne, quelle cioè dei Paesi più vicini
come il Pakistan, congiurano affinché l’instabilità continui ancora a lungo.