India. Calunnie contro un presule e Madre Teresa: la condanna dei vescovi
Il vescovo Raphael Cheenath, dell’Orissa, e il laico cattolico John Dayal come “cospiratori”
per l’assassinio del leader indù Swamiji; Madre Teresa come persona che “utilizzava
l’assistenza sociale per il proselitismo”: sono alcune delle accuse contenute in un
articolo pubblicato dal settimanale “Uday India” (“L’alba dell’India”), con sede a
New Delhi, che ha generato sconcerto e disappunto nella Chiesa indiana. L’articolo,
dal titolo “Swamiji’s Murder And After” è firmato da Ashok Sahu, politico indiano,
noto per le sue posizioni estremiste, del partito nazionalista indù “Baratiya Janata
Party”. Secondo l’autore, vi sono forti sospetti che il vescovo e Dayal siano i responsabili
dell’eliminazione del leader indù. “Sono solo calunnie che vogliono infangare il nome
di un vescovo, di Madre Teresa e della Chiesa. Non siamo sorpresi perché non è la
prima volta che i movimenti legati all’estremismo di destra indù lo fanno. Sono accuse
del tutto infondate, che nascondono motivi politici”, dichiara in un colloquio con
l’agenzia Fides padre Babu Joseph Karakombil, portavoce della Conferenza episcopale.
“Ricordiamo che Swamiji è stato ucciso dai maoisti, come ha appurato un'indagine ufficiale
e come gli stessi maoisti hanno ammesso. Credo che tali provocazioni vogliano solo
continuare a tenere viva una campagna di odio e di tensione in Orissa. Sono dettate
da puri motivi politici, che strumentalizzano la religione”, nota il portavoce. Ashok
Sahu, politico vicino ai movimenti estremisti indù, è stato già arrestato dalla polizia
nell’aprile 2009 per avere tenuto pubblicamente in Orissa un discorso che incitava
all’odio religioso e allo scontro sociale. In Orissa, nel distretto di Khandamal,
“nonostante i problemi e le resistenze ancora esistenti, siamo nella fase del ritorno
dei profughi alle loro case. La Chiesa, in cooperazione con il governo locale, sta
completando la costruzione di 3.000 abitazioni per gli sfollati che vogliono solo
tornare a una vita normale”, conclude padre Karakombil. (R.P.)