Gli Usa ricordano l'11 settembre. Obama: non facciamoci dividere
Giornata di commemorazioni oggi negli Stati Uniti in occasione del nono anniversario
degli attacchi alle Torri Gemelle. Un appuntamento segnato dalle polemiche innescate
dal minacciato rogo dei Corani da parte di un pastore evangelico della Florida. Il
presidente Obama ha lanciato un nuovo appello all’unità del Paese, ribadendo che è
necessario proseguire la lotta contro il terrorismo. Per i talebani, invece, gli Usa
hanno perso in Afghanistan. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
Restiamo
uniti, non permettiamo che vinca la paura. Obama, nel suo discorso alla radio, parla
di un momento difficile per l’America e nel rimarcare il valore di questa giornata
punta nuovamente il dito contro quello che definisce il tentativo di dividere il Paese,
sfruttando le diversità del popolo statunitense. Il capo della Casa Bianca - che nelle
prossime ore parteciperà ad una cerimonia al Pentagono – rinnova poi la solidarietà
alle truppe impegnate all’estero e garantisce che “l’America non esiterà mai nella
difesa della nazione”. Ieri invece la precisazione che la lotta è contro i terroristi,
non contro l’Islam. Catturare o uccidere Bin Laden – aveva detto – è la priorità assoluta
dell’amministrazione Usa. I talebani, in un messaggio diffuso in mattinata, hanno
proclamato il fallimento degli Stati Uniti in Afghanistan consigliando il ritiro immediato
e senza condizioni delle loro truppe. Intanto, nonostante il reverendo Jones in un’intervista
alla Nbc abbia detto che non brucerà il Corano “né oggi né mai”, nel mondo musulmano
le proteste non si placano. Per il secondo giorno consecutivo migliaia di persone
sono scese in piazza in Afghanistan, dove ieri c’è stata una vittima durante le manifestazioni
davanti ad una base Nato. Tensione anche in Pakistan: estremisti islamici hanno dato
alle fiamme una chiesa minacciando altre azioni contro la minoranza cristiana. Le
proteste hanno raggiunto anche l’Indonesia, mentre in Sudafrica un tribunale di Johannesburg
ha impedito il rogo di una Bibbia in risposta al progetto contro il Corano. Sul versante
americano circa 2 mila musulmani statunitensi hanno manifestato a Ground Zero a favore
della costruzione della moschea, che dovrebbe sorgere a due isolati dal luogo dell’attentato
del 2001. Proprio questo progetto, di cui si discute da settimane, e che è all’origine
delle polemiche, resta al centro delle altre due manifestazioni - una favorevole e
l’altra contraria - in programma oggi.
11 Settembre 2001: una data che
rimarrà per sempre impressa nella memoria dell’umanità, per gli attacchi terroristici
che hanno colpito il cuore degli Stati Uniti; uno spartiacque epocale, che ha segnato
davvero un cambiamento nella società americana. Oggi, a distanza di 9 anni, cos’è
rimasto negli Stati Uniti di quella tragedia? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Fernando Fasce, docente di Storia degli Stati Uniti presso l’Università di
Genova:
R. - E’ rimasta
ancora l’impressione emotiva, inevitabilmente molto forte. E’ rimasto il senso della
vulnerabilità, accompagnato da un rinnovato impegno militare all’estero che ha lasciato
profondi segni. Ci sono, quindi, componenti emotive e ci sono componenti reali in
un magma molto complicato e con il quale il presidente Obama deve oggi fare i conti.
D. – Dagli attentati dell’11 settembre è scaturito poi il conflitto
in Afghanistan, che ancora oggi è la spina nel fianco dell’amministrazione americana…
R.
– Sì, assolutamente sì. Quando mi riferivo al rinnovato ed allargato profilo militare,
pensavo esattamente a questo. Non bisogna dimenticare che, peraltro, anche l’intervento
in Iraq - del quale stiamo vedendo un ridimensionamento ed una ridefinizione profonda
proprio in queste ultime settimane – è stato in parte originato, o meglio per definirlo
e per deciderlo si è usata l’onda emotiva scatenata dall’11 settembre.
D.
– Tra le polemiche sulla costruzione della moschea nei pressi di Ground Zero e le
provocazioni del reverendo Jones sul rogo del Corano sembra che negli Stati Uniti
ci sia una avversione nei confronti della comunità musulmana. Ma è davvero così?
R.
– La sensazione è che indubbiamente c’è uno spirito – soprattutto in alcune frange
della popolazione, ma sottolineo soltanto in alcune frange della popolazione – di
paura e di conseguenza di intolleranza. I fenomeni neopopulisti – e sottolineo neopopulisti
– che si sono manifestati un po’ in tutto il mondo hanno avuto una presenza significa
ed hanno una presenza significativa anche negli Stati Uniti, con questa tendenza a
riflessi d’ordine, a reazioni istintive che finiscono per trovare nell’islamico –
tutto rafforzato dalla componente emotiva, dallo strascico emotivo dell’11 settembre
– un possibile punto di riferimento negativo.
D. – Si può dire che
l’11 settembre rimarrà per sempre una cicatrice profonda della società americana o
si riuscirà in qualche modo a superare questo trauma?
R. – Direi che
gli Stati Uniti, in parte i loro abitanti, i loro cittadini ed i loro residenti hanno
superato questo trauma. Il Paese ha voltato pagina, si è rimesso a marciare in senso
positivo, in senso produttivo. La New York che ho visto in questi nove anni, è una
città nella quale certo oggi ci sono le polemiche relative alla moschea, ma c’è anche
un forte senso della capacità di reazione e della capacità di fare società in modo
non intollerante. Sicuramente, però, ci sono forze, spinte e impulsi che agiscono
nell’altro senso. Basti ricordare il fatto che – e questo emerge da sondaggi – oltre
un quinto degli americani sono convinti, ad esempio, che il loro presidente sia un
musulmano ed alcuni usano proprio questo come elemento di minaccia politica, di azione
politica negativa nei suoi confronti.