L'Afghanistan ricorda l'uccisione di Massoud, il Leone del Panshir
L’Afghanistan ricorda oggi l’uccisione di Ahmad Shah Massoud, leader dell'Alleanza
del Nord e combattente contro il regime dei talebani, assassinato da terroristi suicidi,
spacciatisi per giornalisti, il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attacco agli
Stati Uniti. Quest’anno la ricorrenza cade in prossimità delle elezioni parlamentari
del 18 settembre e in un quadro di sicurezza ancora instabile: Washington ha annunciato
il disimpegno della propria missione per l’estate 2011. Sull’attuale momento vissuto
in Afghanistan, Giada Aquilino ha intervistato Marco Lombardi, responsabile dei Progetti
educativi nel Paese asiatico, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
R. – E’
un momento difficile, anche per una convergenza di date e una serie di eventi: il
18 settembre ci sono le elezioni, inizialmente previste per il 22 maggio e poi rinviate.
Queste elezioni cominciano, per esempio, con il rapimento il 26 agosto di Fauzia Gilani,
una candidata già eletta nella circoscrizione di Herat; con almeno quattro attentati
ad altri candidati; con i talebani che dicono: “boicotteremo queste elezioni, cominciando
ad attaccare anche il personale militare afghano: consigliamo ai civili di stare alla
larga”.
D. – Quando venne ucciso, Massoud stava rapidamente imponendosi
come leader nazionale, anche se ufficialmente era il vice presidente dello Stato islamico
dell’Afghanistan, che però controllava soltanto il 10 per cento del territorio. Come
viene ricordato Massoud in Afghanistan?
R. – È stato l’emblema dell’unità
nazionale. Dopo le battaglie con i sovietici, cercava di costruire un Afghanistan
che fosse pacifico o perlomeno unito. I talebani lo cacciarono nel ’96 da Kabul e
lui ricominciò dalle montagne a fare la stessa guerra contro i talebani, come fece
con i sovietici. Il 9 settembre 2001 ebbe questo attentato. Fallì sicuramente nei
confronti dell’Occidente nel riuscire a promuovere un appoggio già prima che i talebani
si instaurassero: sottolineava come fosse improponibile e pericoloso un regime così
totalitario e integralista come quello dei talebani. Per il suo piccolo esercito -
fra i 15 e i 20 mila uomini che attaccavano i talebani - lui era un eroe e forse non
lo è stato a sufficienza in quel periodo per il resto del Paese, che già soffriva
del problema talebano. Oggi Massoud si rivede sui cartelloni in Afghanistan e tutto
sommato è una speranza, perché sicuramente il “Leone del Panshir” è stato uno dei
pochi che recentemente ha cercato un Afghanistan unito, seppur poco creduto, diciamo
così, soprattutto dal mondo globale di allora.
D. – Oggi l’emergenza
è ancora la sicurezza: i talebani continuano ad essere attivi soprattutto nel sud
del Paese e nell’estate 2011 è previsto il disimpegno statunitense. Verso cosa si
va?
R. – Sì, la sicurezza è il grande problema. La dottrina Petraeus
sta cominciando a penetrare l’Afghanistan. La sicurezza è il prerequisito per fare
qualunque cosa: senza sicurezza non possiamo fare strade, non possiamo fare educazione.
Oggi bisogna investire, dando la possibilità agli afghani di essere in grado di gestire
le infrastrutture locali.