La conoscenza reciproca al centro della Giornata della cultura ebraica
“La cultura, strumento di progresso”: è il tema della Giornata europea della cultura
ebraica, celebratasi ieri con un accento particolare sul binomio arte-ebraismo. Iniziative
per far conoscere meglio la tradizione culturale ebraica continuano comunque in questa
settimana in diverse città italiane. Per un bilancio sulla giornata di ieri e l’importanza
della cultura come strumento di dialogo, Alessandro Gisotti ha intervistato
Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane:
R. - La Giornata
della cultura ebraica sta diventando forse l’appuntamento annuale più importante per
noi. Il significato che noi vogliamo dare è quello della vitalità dell’ebraismo, cioè
non vogliamo più che l’ebraismo venga visto come qualcosa che guarda solo al passato
e alla memoria. Vogliamo dimostrare la vitalità dell’ebraismo e vogliamo dimostrare
che vivendo oggi in un continente come l’Europa, dove ci sono Stati democratici e
rispettosi dei diritti delle minoranze, ci sono i presupposti per un rapporto aperto
di dialogo, di trasparenza fra tutti i gruppi e le componenti della società. Il segnale
che vogliamo dare è questo: aprire le porte di tutte le nostre istituzioni, i nostri
musei, le nostre sinagoghe per farci conoscere.
D. – Nel messaggio per
l’occasione lei ha scritto che “solo grazie alla conoscenza è possibile abbattere
i pregiudizi”. Quale risposta state avendo su questo fronte?
R. – La
risposta è estremamente positiva. Solo in Italia celebriamo questa Giornata della
cultura in 62 località italiane. Bisogna tenere presente che le comunità ebraiche
in Italia adesso sono 21, però ci sono località nelle quali non esistono più, ma ci
sono residui di un’antica presenza ebraica dove enti locali tengono viva la memoria
di questa presenza dei secoli passati.
D. – Lei ha celebrato la Giornata
a Livorno...
R. – Livorno fu l’unica città importante con una significativa
presenza ebraica dove non fu mai né concepito né realizzato un ghetto. Gli ebrei potevano
vivere in qualsiasi parte della città, non erano costretti a vivere in un quartiere
particolare e questo quartiere era aperto mentre, invece, i ghetti avevano dei cancelli,
era una vera segregazione.
D. – Livorno ... e il pensiero va subito
al vescovo Ablondi...
R. – ...al vescovo Ablondi, che purtroppo ci ha
lasciato nelle settimane scorse. E’ stato un protagonista del dialogo. E’ una delle
persone che, secondo me, ha realizzato nella pratica quello che è il nuovo orientamento
nei rapporti fra ebrei e cattolici: il futuro è nella convivenza pacifica.