Dire di no in nome di Cristo, una croce da portare: così il cardinale Bertone commemorando
il Concilio di Vercelli
“Il cristiano deve saper dire di no” “a certe convinzioni e abitudini” per appartenere
a Cristo: così il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nell’omelia pronunciata
ieri a Vercelli, in occasione del 960.mo anniversario del Concilio, che si svolse
in questa diocesi nel 1050, riaffermando la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia.
“Un evento carico di significato ecclesiale, teologico, spirituale”, ha sottolineato
il porporato - che ha guidato la diocesi di Vercelli per quattro anni - facendosi
quindi latore di un messaggio augurale inviato da Benedetto XVI all’arcivescovo di
Vercelli, Enrico Masseroni. Il servizio di Roberta Gisotti.
Uniti oggi
dalla stessa fede cattolica che tanti secoli addietro ha posto il Papa Leone IX e
i padri conciliari di Vercelli in contatto con il Cristo Salvatore: “un incontro –
ricorda Benedetto XVI - che si rinnova e si consolida in modo singolare ogni domenica”,
nel banchetto Eucaristico. Il Concilio di Vercelli riaffermò in proposito - secondo
la dottrina insegnata da Lanfranco da Pavia e confutando le tesi spiritualiste - che
tale incontro implica un reale contatto con il Corpo di Gesù, laddove “nella consacrazione
il pane e il vino si cambiano” “nella sostanza della carne e del sangue del Signore”.
Commentando il Vangelo domenicale, il cardinale Bertone ha prima ricordato
che cosa significava ‘seguire Gesù’ per i suoi contemporanei. “Voleva dire mettersi
dietro un profeta non ben conosciuto, rifiutato dai capi della nazione e criticato
da tanti avversari. Significava mettere a repentaglio la vita, la casa, forse farsi
odiare dalla propria famiglia per i rischi che le si faceva correre. Oltre a questo
voleva dire accettare di vivere in maniera nuova, contraria alle convinzioni della
maggioranza”. Gesù “esigeva addirittura l’amore per i nemici e il perdono in ogni
circostanza. Ed era insistente nell’esortare a non pensare solo al denaro.” Non soltanto
“staccare il cuore dai beni terreni, ma saper rinunciare anche a certe convinzioni
e abitudini”, dunque “pagare un caro prezzo, che a volte arrivava fino al martirio”.
Se questo era al tempo di Gesù, “oggi più che mai – ha esortato il porporato – credere
è una sfida: accettare la fede cristiana, nell’odierno contesto socio-culturale è
una scelta non facile, può richiedere rotture dolorose con l’ambiente che ci sta attorno,
a volte una croce da portare”. “Il mondo si sta secolarizzando rapidamente – ha aggiunto
- e stiamo assistendo all’affermazione di modelli di comportamento amorali, vissuti
spesso come evasione dalla realtà. Non sono pochi coloro – ha osservato - che considerano
la vita, come i pagani di una volta, un tempo da consumare nell’egoismo. Molti non
sentono il bisogno di rapportarsi con Dio e con Gesù Cristo. Qualcuno a volte quasi
si vergogna di essere cristiano, di pregare, di offrire amore”. Ed invece “il cristiano
deve saper dire di no”, anche ai suoi cari se questi “propongono scelte contrarie
ai valori irrinunciabili”. Dunque “non considerare nulla come nostro possesso” “non
rimanere attaccati ai beni materiali”, ma “usarli senza farne degli idoli”. E’ questa
- ha concluso il segretario di Stato - “la strada della vera felicità”, secondo la
volontà di Dio.