Scontri a Mogadiscio: decine di morti e migliaia di profughi
Resta alta la tensione a Mogadiscio, dove nell’escalation di violenze degli ultimi
giorni sono morte oltre 150 persone. Oltre 300 mila sono i civili che dalla capitale
raggiungono i campi per sfollati sorti spontaneamente fuori la città, a causa degli
scontri tra il gruppo terrorista di Al-Shabaab e le forze governative del presidente,
Sheik Sharif Ahmed. Michele Raviart ha fatto il punto della situazione politica somala
con il prof. Raffaele Marchetti, docente di Relazioni internazionali alla Libera università
internazionale degli studi sociali (Luiss):
R. – La situazione
è in uno stallo da vent’anni a questa parte, almeno da quando nel ‘91 è scoppiata
la guerra civile. Il tessuto sociale si va sempre più disgregando e la comunità internazionale
riesce a fare ben poco. Ad oggi, questo governo non ha capacità di controllo territoriale:
è in carica soltanto perché fortemente sostenuto dagli attori esterni, dagli attori
occidentali. Si ha una tensione continua tra il governo e una serie di gruppi di matrice
islamica che riescono a portare minacce fino al cuore delle istituzioni, come appunto
abbiamo visto con questi ultimi attentati.
D. – Tra questi gruppi, il
più importante è senza dubbio Al Shabaab. Come agisce?
R. – È un gruppo
ben organizzato che dà precedenza ad affiliazioni di tipo meritocratico, piuttosto
che tribale e di clan, e che riesce a garantire una serie di servizi che il governo,
oggi come oggi, non riesce più a fornire. E inoltre, si presenta anche come la sezione
somala di al Qaeda.
D. – Il conflitto somalo dura da anni, ma sembra
essere in secondo piano nell’agenda internazionale...
R. – Ultimamente,
l’interesse è cresciuto rispetto a questa che è una guerra “invisibile”, probabilmente
proprio per la forte presenza pubblicizzata dei collegamenti con al Qaeda. Il governo
federale naturalmente ha molto giocato sul discorso del terrorismo, chiedendo alla
comunità internazionale aiuto in difesa del proprio governo contro queste azioni terroristiche.
D.
– Negli anni ’90, tuttavia, la comunità internazionale aveva già cercato di intervenire...
R.
– Negli anni, qualche intervento si è avuto, in quanto Nazioni Unite e come governo
americano, ma non sono stati interventi decisivi. D’altro canto, c’è anche un lato
oscuro. Uno dei problemi di questa situazione somala è certamente la diffusione capillare
delle armi, che sono state vendute nel corso degli ultimi decenni dai Paesi occidentali.
D.
– Quali saranno allora le prossime mosse a livello internazionale?
R.
– Si parla di un nuovo intervento, però i termini non sono stati ancora definiti.
Bisognerebbe pensare un tavolo di discussione al quale invitare tutte le forze politiche
in campo. Mi sembra illusorio risolvere le questioni senza entrare in dialogo anche
con i gruppi dell’islam politico. Continuare a parlare soltanto con il governo in
carica è una strategia che non paga, questo è sotto gli occhi di tutti.