Mons. Marchetto lascia dopo nove anni il suo incarico al Pontificio Consiglio per
i Migranti
Il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, mons. Agostino
Marchetto, lascia il suo incarico dopo nove anni. Intervistato da Fabio Colagrande,
mons. Marchetto si sofferma sulle sue dimissioni:
R. – Il mio
pensiero è maturato guardando il mio curriculum vitae e, cioè, tanti anni passati
all’estero, più di vent’anni, in Africa, in situazioni molto disagiate, poi nell’Europa
orientale e guardando anche la mia salute. Sto bene, fondamentalmente, ma dopo la
mia malattia e le cure che mi sono state fatte non mancano strascichi e non sono così
libero come lo potevo essere prima. Evidentemente, anche la questione della possibilità
di chiedere allo scadere dei 70 anni, questo “privilegio” dei nunzi, tenendo presenti
le loro situazioni, ha contribuito, certamente, a spingere un po’ in questa linea.
D.
– Con quale stato d’animo lascia l’incarico?
R. – Io credo che ciascuno
degli ascoltatori può rendersi conto di quale può essere lo stato d’animo di una persona
che va in pensione dopo tanti anni. C’è un’abitudine di vita, c’è un ritmo che uno
assume e che anche ti aiuta pur essendo a volte un ritmo forsennato, ma ugualmente
dà un ritmo e aiuta. Da una parte c’è un po’ di tristezza perché si lascia un campo
di lavoro ormai consolidato però, nello stesso tempo, c’è anche una certa serenità,
sicuramente, direi quasi una certa contentezza, perché fino a qui ho fatto quello
che consideravo il mio dovere e, dunque, un dovere compiuto porta una serenità nello
spirito e anche una contentezza che questo non cambia nel libro della vita: quello
che uno ha fatto è fatto. Poi, c’è anche questa prospettiva che mi alletta e l’ho
già manifestata e, cioè, questa possibilità di dedicarmi un po’ a quello che sono
i miei interessi dal punto di vista storico perché io credo che fondamentalmente sono
uno storico. Certo mi interesso anche di teologia, mi sono interessato molto di pastorale,
anche di diritto canonico, però credo che la mia grande passione è stata la storia.
Dunque posso ritornare a questo amore dopo l’amore, veramente, appassionato e, credo,
anche generoso in relazione alla pastorale dei migranti e degli itineranti. Sono otto
settori … termina uno e comincia un altro, nel senso dell’attività e dell’impegno.
Quindi è una prospettiva che mi alletta, che mi arride, di potermi ancora immergere
nello studio.
D. – A proposito dell’attività di questo Dicastero, dal
2001 a oggi la problematica dell’emigrazione è del tutto esplosa con un aumento dei
flussi che ha coinvolto soprattutto l’Europa ma non solo: come è cambiata di conseguenza
la vostra attività, come ha visto cambiare il suo lavoro presso questo Dicastero in
questi anni?
R. – Io credo che si possa dire che ormai nessun Paese
è escluso da questo fenomeno sia come Paese di origine, di passaggio e di destino.
Questo ha portato le Conferenze episcopali - perché dobbiamo dire che noi siamo al
loro servizio affinché realizzino la pastorale in loco - ad avere delle Commissioni
che si occupano o della mobilità umana in generale oppure delle singole categorie
specifiche. Quindi c'è una peculiare presenza nel mondo intero di questa rete che
noi cerchiamo di nutrire e di supportare e questo dice come nonostante tutto questa
pastorale si stia affermando. Noi ci auguriamo che essa sia più conosciuta e realizzata
anche se devo dire che è più realizzata che conosciuta.
D. – Si ha la
sensazione che molte istituzioni politiche si siano trovate impreparate di fronte
a questo aumento dei flussi migratori. La Chiesa ha avuto un ruolo profetico …
R.
– Sì, credo che si possa dire che in questo campo la Chiesa ha avuto un ruolo profetico,
basta che cominciamo a pensare all’inizio del secolo scorso quando c’è stato tutto
questo impegno per i nostri emigranti all’estero, che è stato un po’ la fucina per
la Chiesa universale, per la Santa Sede, per cercare di dilatare l'attenzione non
solo agli italiani ma a tutti i migranti nel mondo. E’ lì che sono cominciati i messaggi
per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato; ormai siamo a quota 100, dunque
vuol dire che da quasi 100 anni la Chiesa sta bombardando – se mi è permessa la parola
– l’opinione pubblica e anche quella ecclesiale, dando un magistero straordinario.
D.
– Qualcuno ha scritto a questo proposito che se la Chiesa non fa distinzione tra immigrati
regolari e irregolari gli Stati però devono farla e che voi uomini di Chiesa vi disinteressate
dei problemi della sicurezza quando vi occupate di queste vicende ...
R.
- Io credo che abbiamo sempre detto che c’è un binomio tra accoglienza e sicurezza
ma la questione è che in molti luoghi si sottolinea solo la sicurezza e non l’accoglienza,
l’integrazione. Gli sforzi e i soldi vanno tutti nella linea della sicurezza più che
dell’accoglienza. Evidentemente, c’è una distinzione tra regolari e irregolari anche
se alcune Convenzioni internazionali non fanno la distinzione nel senso del trattamento,
per esempio, dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie; parlano di
lavoratori migranti in generale, dunque regolari e irregolari. Quindi, non è la Chiesa
sola che fa questo tentativo di metterli insieme per quanto riguarda i diritti di
queste persone, che vanno insieme coi doveri, per quanto riguarda il bene comune di
questa società che molte volte ha bisogno di loro in un contesto di bene comune universale.
(Montaggio a cura di Maria Brigini)