Il magistero del Papa sul valore della fiducia in Dio: come Pietro nella pesca miracolosa
il cristiano deve affidarsi in tutto a Gesù
“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua
parola getterò le reti”. E’ la celebre frase di Simon Pietro a Gesù, sulle rive del
Lago di Generaret, a vibrare con forza nel Vangelo di Luca della liturgia di oggi.
In molti passi del suo magistero, Benedetto XVI ha preso spunto dal brano della pesca
miracolosa per spiegare quanto per un cristiano, in qualsiasi momento della sua vita,
la fiducia in Dio debba essere pronta e senza riserve. Alessandro De Carolis
ricorda in questo servizio alcune riflessioni del Papa su questo tema:
Fidarsi di
uno sconosciuto che promette un ipotetico, quasi assurdo, ma lauto, guadagno personale.
Chi sarebbe capace di farlo? A rigor di logica pochi amanti del rischio, nella realtà
tanta gente comune, se si considera le anonime masse della nostra epoca che si affidano
ai vaticini di sedicenti maghi per sapere, nella maggioranza dei casi, se il proprio
futuro sarà lastricato di amori e denari. Rischio o no, la prospettiva di un vantaggio
economico o di altra natura – sia pure ottenibile per vie all’apparenza incomprensibili
– è una molla potente che non lascia indifferente nessun essere umano e lo spinge
a fare calcoli per capire quanto il gioco valga la candela. E’ più o meno quanto deve
aver pensato uno stanco e nervoso pescatore di nome Simone, una mattina di duemila
anni fa, davanti all’uomo mai visto, presentatogli come un “Maestro”, che gli ha appena
proposto la “follia” di tornare a gettare le reti – di giorno, nel momento più sbagliato
per la pesca – quando nemmeno un pesce ha abboccato durante le lunghe e frustranti
ore notturne. In una udienza generale di qualche anno fa, Benedetto XVI si è soffermato
su questa scena avvenuta sulle rive del Lago di Genesaret. E’ in quel meraviglioso
scambio tra Gesù e Simon Pietro che si gioca tra l’acqua e le barche, tra un Maestro
che chiede l’impossibile e un consumato pescatore che accetta di credergli, che assistiamo
alla scintilla che trasforma un atto di fiducia in un più grande atto di fede, che
renderà possibile la nascita della Chiesa:
“Gesù non era un esperto
di pesca: eppure Simone il pescatore si fida di questo Rabbi, che non gli dà risposte
ma lo chiama ad affidarsi (…) Pietro accetta di lasciarsi coinvolgere in questa grande
avventura: è generoso, si riconosce limitato, ma crede in colui che lo chiama e insegue
il sogno del suo cuore. Dice di sì, e diventa discepolo di Gesù”. (Udienza generale,
17 maggio 2006)
Allora come oggi, accettare di diventare un discepolo
di Gesù è una scelta radicale, anche perché, ha notato il Papa durante il viaggio
a Malta dello scorso aprile, la voce di Cristo che parla al cuore rischia di essere
sopraffatta dalle molte voci esterne, che pretendono di farla apparire una decisione
inutile, o fuori tempo, addirittura sciocca:
“If we are tempted to
believe them… Se siamo tentati di credere a loro, dovremmo ricordare
l’episodio del Vangelo di oggi, quando i discepoli, tutti esperti pescatori, hanno
faticato tutta la notte, ma non hanno preso neppure un solo pesce (...) Lasciati a
se stessi, i loro sforzi erano infruttuosi; quando Gesù è rimasto accanto a loro,
hanno catturato una grande quantità di pesci. Miei cari fratelli e sorelle, se poniamo
la nostra fiducia nel Signore e seguiamo i suoi insegnamenti, raccoglieremo sempre
grandi frutti”. (Messa viaggio a Malta, 18 aprile 2010)
Certamente,
ha chiarito Benedetto XVI in un’altra circostanza, la vicenda di Pietro dimostra che
nessuna volontà solo umana di dire “sì” a Cristo rende un cristiano maturo e solido
nella fede se non interviene una grazia più alta:
“Il Pescatore,
‘pescato’ da Gesù, ha gettato le reti fin qui e noi oggi rendiamo grazie per essere
stati oggetto di questa ‘pesca miracolosa’, che dura da duemila anni, una pesca che,
come scrive proprio san Pietro, ‘ci ha chiamati dalle tenebre alla ammirabile luce
[di Dio]’. Per diventare pescatori con Cristo bisogna prima essere ‘pescati’ da Lui”.
(Messa Santa Maria di Leuca, 14 giugno 2008)
E il discorso non cambia
se, invece della maturità di una vocazione cristiana, si parla dei modi dell’agire
cristiano: per la sua efficacia, serve in ogni caso la grazia di Dio. E quando, ha
osservato una volta in modo consolante il Pontefice, “il lavoro nella vigna del Signore
sembra risultare vano, come la fatica notturna degli Apostoli, non bisogna dimenticare
che Gesù è in grado di ribaltare tutto in un momento”:
“La pagina
evangelica, che abbiamo ascoltato, ci ricorda, da una parte, che dobbiamo impegnarci
nelle attività pastorali come se il risultato dipendesse totalmente dai nostri sforzi.
Dall'altra, ci fa comprendere, però, che il vero successo della nostra missione totalmente
è dono della Grazia. Nei misteriosi disegni della sua sapienza, Dio sa quando è il
tempo di intervenire. Ed allora, come la docile adesione alla parola del Signore fece
sì che si riempisse la rete dei discepoli, così in ogni tempo, anche nostro, lo Spirito
del Signore può rendere efficace la missione della Chiesa nel mondo”. (Messa Vigevano,
21 aprile 2007)