Al via a Washington i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. La riflessione
di padre Jaeger
Incoraggiato dalla serietà mostrata da israeliani e palestinesi. Questo lo stato d’animo
del presidente Usa Barack Obama, nel giorno di apertura dei negoziati diretti a Washington.
Da subito chiare le richieste delle due parti, per il palestinese Abu Mazen, Israele
deve mettere fine all’embargo su Gaza e alla costruzione di nuovi insediamenti nei
territori occupati, per Netanyahu una pace vera e duratura richiede dure concessioni
e deve tenere conto delle necessità di sicurezza di israele, inoltre chiede il premier
israeliano I palestinesi devono riconoscere Israele come lo stato nazione del popolo
ebreo. Elena Molinari
Il
presidente americano, Barack Obama, ha dunque affermato che è possibile raggiungere
la pace in Medio Oriente entro un anno. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre
David Jaeger, della Custodia di Terra Santa, se questa ipotesi sia realizzabile,
nonostante le difficoltà sul terreno:
R. – E’ possibile
certamente, perché non solo i problemi sono conosciuti, ma in sostanza anche le soluzioni.
Le bozze dell’accordo di pace si troverebbero nei cassetti ormai da vari anni. Quello
che è mancato, finora, soprattutto non sono state le bozze, i testi, le soluzioni
o le idee: è la volontà di firmarle, queste risoluzioni.
D. –
Quali sono, secondo lei, i punti su cui le parti possono più facilmente trovare un
accordo e dunque cercare di raggiungere una intesa finale? R. – Per mettere
fine al conflitto storico, c’è naturalmente la questione dei profughi palestinesi
delle guerre del 1948 e del 1967, ma soprattutto del ’48; su questo punto, una soluzione
non può essere – in realtà – semplicemente bilaterale, perché deve coinvolgere anche
gli Stati che effettivamente ospitano grande parte di questi profughi: Giordania,
Siria e soprattutto Libano, dove è drammatica la situazione dei palestinesi nei campi
profughi. Solo recentemente, la legislatura libanese ha deciso di dare agli abitanti
dei campi profughi, che sono già di terza e quarta generazione, la possibilità di
cercare lavoro in Libano, sulla stessa base di lavoratori stranieri. Qui ci dovrà
essere uno sforzo multilaterale.
D. – A Washington, ovviamente,
c’è un grande assente: Hamas. Quanto complica questa assenza, questa opposizione? R.
– Il suo dominio di fatto sulla Striscia di Gaza è sintomo dell’assenza di pace. Dal
momento in cui ci sarà un Trattato di pace tra Israele e l’Olp, Hamas perderà ogni
legittimazione. Per cui è chiaro che si oppone al Trattato di pace e sta facendo di
tutto per far fallire i negoziati. Realizzare, ottenere il Trattato di pace priverà
gli estremisti – nel caso specifico, Hamas – di ogni legittimazione presso la popolazione.
Questo è l’unico modo di farlo, perché è proprio l’assenza di pace, il perdurare del
disagio vissuto dalla popolazione palestinese che dà forza all’organizzazione armata.