I vertici israelo-palestinesi a Washington per riannodare il negoziato di pace
Tutto pronto a Washington per i colloqui diretti israelo-palestinesi, interrotti dopo
l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza a fine 2008 e fortemente voluti dall’Amministrazione
americana. Il presidente Obama incontrerà in un primo momento separatamente il premier
israeliano, Nethanyahu, il leader palestinese, Abu Mazen, il presidente egiziano,
Mubarak, ed il re di Giordania, Abdullah II. Giovedì prossimo, invece, sono previsti
i colloqui diretti tra le delegazioni israeliana e palestinese, sotto l'egida del
segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Ma cosa si può attendere da questa
fase di ripresa dei negoziati? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giorgio
Bernardelli, esperto di questioni mediorientali:
R. - Quello
che si aprirà fra poche ore è l’inizio di un percorso che sarà molto lungo. La stessa
Hillary Clinton ha poco fa che l’attesa è di una serie di incontri che dovrebbero
fare chiarezza. E' evidente, le incertezze sono tante.
D. - Netanyahu
insiste sulla sicurezza e sul riconoscimento di Israele come Stato ebraico e Abu Mazen,
da parte sua, non intende trovare un punto di incontro sulla colonizzazione in Cisgiordania
e a Gerusalemme Est. Come concilierà gli Stati Uniti queste posizioni?
R.
- Il test sugli insediamenti è il test più importante: su questo punto l’autonomia
palestinese non è disposta a cedere, perché rappresenta una questione sostanziale
rispetto al futuro del Medio Oriente. Dall’altra parte, però, neanche Netanyahu può
cedere, perché nel momento in cui dovesse prolungare questo blocco - che è stato dichiarato
per 10 mesi - il suo governo il giorno dopo andrebbe in frantumi. Come si esce da
questo vicolo cieco? Probabilmente, il tentativo che Netanyahu farà sarà quello di
dire che riprenderà la costruzione degli insediamenti, ma solo all’interno dei cosiddetti
“blocchi”, che sono le colonie Cisgiordania più grandi, quelle che già in tutte le
ipotesi precedenti di negoziato erano previste che finissero, nello status finale,
dentro lo Stato di Israele, con delle compensazioni territoriali in altre zone.
D.
- Il ministro degli Esteri israeliano, Liberman, ha deciso di restare in Israele,
essendo scettico circa l’esito delle trattative. Questo vuol dire che ci sono anche
divisioni interne importanti?
R. - Ci sono fortissime divisioni interne.
Il pallino di questo negoziato lo ha in mano Barak e già questo rappresenta un fatto
inconsueto. Questo è il risultato del governo assolutamente anomalo che c’è oggi in
Israele e che è molto meno compatto di quanto sembri. Se questo negoziato dovesse
andare avanti, difficilmente andrà avanti con questo governo, proprio perché le posizioni
al suo interno sono inconciliabili.