2010-08-26 15:26:56

Desiderio di Dio e persecuzioni anticristiane al Meeting di Rimini con il cardinale Scola e l'on. Mauro


Protagonista oggi al Meeting di Rimini il tema della persecuzione contro i cristiani e della libertà religiosa. In mattinata, le riflessioni di Joaquin Alliende-Luco, presidente internazionale dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, e di Mario Mauro, rappresentante personale della presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione nei confronti dei cristiani. Titolo dell’incontro “Guerra ai cristiani”. Sentiamo lo stesso Mario Mauro nell’intervista di Debora Donnini: RealAudioMP3

R. - Oggi, all’inizio del Terzo Millennio possiamo dire che su 100 persone che perdono la vita per episodi d’odio legati alla religione, 75 sono cristiani. Allora è un’affermazione fondata: “guerra ai cristiani”. Ci sono oltre 50 Paesi nel mondo dove non è possibile la libertà religiosa.

D. – I più rappresentativi di questi Paesi?

R. – In cima alla speciale classifica stilata da World Wide Watch che ha maturato l’analisi di queste statistiche - statistiche a cui contribuiscono anche 'Aiuto alla Chiesa che Soffre', ma anche agenzie come AsiaNews, la stessa Radio Vaticana, Avvenire, molti giornali, molti blog, molti punti di vista che ci forniscono informazioni indipendenti - c’è sicuramente la Corea del Nord, quindi uno Stato ateo che vieta tutte le religioni. Ma nei 50 Paesi ce ne sono 35 islamici e questo inevitabilmente pone degli interrogativi seri rispetto alla condizione del dialogo tra noi e i Paesi musulmani.

D. – Di quali, Paesi si tratta?

R. – I più grandi e i più importanti sono sicuramente il Pakistan, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e l’Iraq dove è in corso una vera e propria strage che spinge alla fuga dei cristiani dal Paese, destabilizzando ulteriormente questo Paese già così martoriato.

D. – Quando lei dava la percentuale dei cristiani perseguitati parlava di persone che perdono la vita per motivi religiosi o a volte ci sono anche altri motivi?

R. – La politica c’entra sempre, evidentemente. Dirò di più, oggi se consideriamo i conflitti che sono in giro per il mondo non ce n’è uno che non sia in qualche modo legato alla religione. Questo vuol dire che quando spira un vento fondamentalista, cioè prendere Dio come pretesto per un progetto di potere, di religione si parla per giustificare anche il più turpe degli eccidi. Nello stesso tempo queste povere persone sono quegli umili della storia che Manzoni ci ricorda e che muoiono per la loro fede: muoiono per la semplice colpa di credere in Cristo.

D. – Come Osce, di cui lei è rappresentante proprio contro il razzismo e la xenofobia e la discriminazione nei confronti dei cristiani, e come Unione europea cosa state facendo per aiutare i cristiani perseguitati nel mondo?

R. – L’Osce dal 2004 è stata la prima istituzione che ha preso coscienza del problema e, appunto, ha dato vita a questa struttura che si occupa della persecuzione e della discriminazione dei cristiani.

D. – Ci può fare un esempio di qualche decisione che avete preso o di qualche obiettivo che avete raggiunto?

R. – Molto importanti gli interventi che ci sono stati, recentissimi, dopo la strage del capodanno ortodosso copto in Egitto, tesi a mettere in sicurezza la comunità copta in quel Paese. Questo evidentemente non risolve i problemi di mentalità che sono dietro perché le istituzioni non hanno questa capacità. Dietro ci vuole un lavoro di educazione che è il frutto di un dialogo vero che si incentra sul rispetto e sulla verità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

E ieri, al Meeting di Rimini è stata molto seguita la testimonianza di Margherita Coletta, vedova del brigadiere Giuseppe ucciso nel 2003, nell’attentato di Nassiriya, in Iraq, nel quale morirono 19 persone. Un incontro seguito con commozione e un silenzio attento. Il servizio della nostra inviata Debora Donnini: RealAudioMP3

Margherita racconta la sua storia fatta di dolore, non solo per la morte del marito. Anni prima avevano perso un figlio di soli 6 anni per leucemia. Una storia di sofferenza segnata però dalla presenza di Gesù: “Mi sento aggrappata a questa croce - dice - so che è la mia salvezza”. Una storia di perdono: “Umanamente è impossibile perdonare, se non scatta la fede in Cristo”, afferma in riferimento all’uccisione del marito. Ma soprattutto una storia che dà vita a frutti di amore, come i tanti progetti dell’associazione da lei fondata, “Giuseppe e Margherita Coletta-Bussate e vi sarà aperto”, fra cui un orfanotrofio nel Burkina-Faso. E qui al Meeting che il cuore quando desidera cose grandi è davvero capace di compierle, lo si vede anche dai temi delle mostre. Con circa 60 foto quella dedicata a Solidarnosc ripercorre gli anni dell’ondata di scioperi nei quartieri di Danzica, in Polonia: le immagini di persone, negli stessi cantieri, inginocchiate durante la Messa, quelle delle croci di fiori disposte dalla gente nelle piazze, le visite di Giovanni Paolo II. Una protesta pacifica che ha coinvolto un intero popolo segnando in modo indelebile la storia, rivissuta dai visitatori grazie alle spiegazioni appassionate dei tanti volontari del Meeting.

Altro momento particolarmente significativo al Meeting di Rimini è stato l'intervento, sempre ieri, del Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola. Il porporato ha incentrato la sua relazione sul tema del "desiderio di Dio". Luca Collodi lo ha intervistato: RealAudioMP3

R. – Il desiderio di Dio ce l’hanno tutti gli uomini – questo è molto importante – anche quelli che dicono che Dio non c’è e lo si vede nell’esperienza di tutti i giorni. Ogni uomo ogni giorno incontra la realtà e la realtà si fa ospitare nel cuore, nell’intelligenza dell’uomo. Questa è un’esperienza universale. Da dove viene? Questa viene da Dio, viene da come Dio ci ha fatto, quindi è un modo con cui il desiderio di Dio si esprime. Secondariamente ogni uomo non può non vivere in rapporto con l’altro e anche questa è la modalità con cui il desiderio vive, ma soprattutto ogni uomo ha nel cuore il desiderio di salvezza, perché sente i proprio limiti, sente il proprio peccato. Quindi il desiderio di Dio è indistruttibile, magari uno lo riduce ad un frammento. Compito dei cristiani è viverlo interamente seguendo Gesù.

D. – Il desiderio di Dio passa anche da una dimensione pubblica della fede?

R. – Certamente. Perché noi siamo figli di un Dio incarnato. Quindi un Dio che non c'entra con il quotidiano è come se non fosse rintracciabile. Diventa, come diceva il grande San Bernardo, il frutto della nostra fantasia, diventa un’idea, un sentimento. Pensiamo, invece, all’Eucaristia che è il Corpo e il Sangue di Cristo e che noi mangiamo e beviamo, così che noi possiamo prendere parte a Lui e dare a Lui quel culto spirituale, cioè quell’offerta totale della nostra esistenza che passa attraverso la dimensione degli affetti, del lavoro, del riposo, della fragilità umana, della giustizia, ecc. Allora la politica su cosa si costruisce? O si costruisce su questi bisogni elementari dell’uomo o non è più politica, è fantapolitica.

D. – La politica di oggi quale Dio deve desiderare?

R. – Il cuore dell’uomo è fatto per l’unico, grande Dio che è Dio di tutta la famiglia umana. La politica di oggi deve guardarsi, come tutti noi, dal rischio di porre degli idoli al posto di Dio. Eliot diceva che questo rischio è quello del denaro, del potere, della lussuria ma, soprattutto diceva un’altra cosa molto importante da cui la politica deve guardarsi bene: che gli uomini si illudono spesso di poter costruire sistemi così perfetti che evitino a loro di essere buoni. Questo è impossibile.

D. – Molti guardano all’unità del mondo cattolico, anche laico. Secondo lei questa unità è comunque, certamente un valore importante, ma si può testimoniare Dio anche senza unità tra i laici cattolici?

R. – L’unità è un bene che non può mai essere sacrificato, soprattutto nel livello della sua prima espressione ecclesiale. Per quanto riguarda poi il declinarsi a livello socio-politico di questo impegno, anche a questo livello secondo me un’attenzione all’unità, soprattutto sulle implicazioni antropologiche, etiche, morali di fondo, non può mai venire meno. All’interno di questo quadro, la pluriformità di indirizzi sui problemi poilitici pratici, se tiene questa attenzione all’unità, è sicuramente positiva.

D. – Guardando al sociale: sussidiarietà e federalismo, secondo lei, possono integrarsi?

R. – Devono integrarsi. Se il federalismo resta quello che deve essere: un metodo. Un metodo per la realizzazione dell’unità. Un metodo che la realizzi in modo più efficace. Da questo punto di vista, un metodo non può mai dimenticare questioni di giustizia e questioni di giustizia implicano per loro natura sempre un bilanciamento. Vale a dire: ci sono degli elementi di giustizia nella nostra realtà italiana che vanno dati a talune regioni del nord e ci sono elementi di giustizia che vanno dati alle nostre regioni del sud e bisogna riuscire a bilanciare bene gli uni e gli altri con un metodo federalista veramente efficace che non annulla il contenuto dell’unità del nostro Paese. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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