Cile. Minatori intrappolati a 700 metri di profondità: le speranze di mons. Quintana
In Cile, prosegue la drammatica vicenda dei 33 minatori intrappolati dal 5 agosto
scorso nella miniera di San Josè a Copiapò, nel nord del Paese, a oltre 700 metri
di profondità. I minatori, tutti in vita, sono stati informati ieri di dover aspettare
più di due mesi prima di poter essere liberati. Intanto, due sonde permettono l’invio
nel sottosuolo di liquidi e medicinali. Attorno a loro e alle loro famiglie, la solidarietà
e il conforto della Chiesa cilena e di tutto il Cile, che ha accolto con gioia la
notizia dei primi contatti stabiliti con loro la scorsa domenica, dopo 17 giorni di
attesa, come racconta il vescovo di Copiapò, mons. Gaspar Francisco QuintanaJorquera, raggiunto telefonicamente da Linda Giannattasio:
R. – La
noticia de saber que estaban vivos... La notizia che erano vivi – che ci
hanno comunicato attraverso uno scritto – è stata una gioia immensa per il cuore delle
famiglie, per il resto del Paese e anche per la Chiesa diocesana di Copiapò. Questo
dolore per noi è stata un’esperienza molto profonda di solidarietà umana.
D.
– Come avete vissuto questi 17 giorni di attesa?
R. – Como un signo
junto a la mina... Come segno, vicino alla miniera di San Josè, in una cappella,
avevamo posto l’immagine di Nuestra Señora de la Candelaria, che è la
patrona dei minatori e anche quella di San Lorenzo, patrono dei minatori, affinché
le famiglie, i colleghi di lavoro dei minatori potessero pregare lì accanto alla miniera.
Io come vescovo, i sacerdoti e i religiosi, abbiamo celebrato una Messa e abbiamo
avuto momenti di preghiera per rincuorare molte delle persone che stavano aspettando
il ritorno dei loro cari. Questo periodo doloroso di 17 giorni di attesa è stata un'occasione
di incontro per tutto il Paese, per le autorità di governo, per i partiti politici.
E’ stato un motivo per incontrarci e per dimenticare un po’ le nostre differenze,
per preoccuparci di portare in salvo i minatori. Tutti sappiamo che il mondo minerario
è molto pericoloso. Quindi, questo deve servire affinché i governanti, gli imprenditori,
i lavoratori diano più attenzione e prendano maggiori precauzioni per la sicurezza
della vita dei minatori. Il minatore entra nella miniera e a volte non sa se ne uscirà
vivo. Quindi, è stata un’occasione per annunciare in qualche modo la Dottrina sociale
della Chiesa, in cui appare chiara la preoccupazione per la persona umana, per il
lavoratore che ha diritto alla sicurezza e alla protezione, perché mai più si ripetano
queste situazioni e perché si dia al lavoro umano la dignità che merita.
D.
– A che punto sono le operazioni di soccorso in questo momento?
R. -
Se han concentrado... Si sono concentrate qui tutte le attrezzature più
moderne del settore minerario: macchine molto sofisticate che hanno permesso il contatto
con i minatori, a più di 700 metri di profondità; già si stanno inviando medicinali,
cibo, trattamenti medici; son potute entrare anche le telecamere. Quindi, c’è comunicazione.
E’ presente un’equipe multidisciplinare di medici e psicologi che stanno seguendo
questa situazione e c’è già una comunicazione quasi diretta e fluida tra i minatori
e le loro famiglie, attraverso scritti e per telefono.
D. – Quali sono
ora le vostre maggiori preoccupazioni?
R. – La grande preocupacion... La
grande preoccupazione adesso è vedere lo stato di salute dei minatori che si stanno
comunque alimentando, che sono seguiti da un gruppo di medici che si preoccupa per
loro, e che sono accompagnati e protetti dalla scienza e anche dalla carità fraterna
e dalla preghiera di tutta la Chiesa cilena. Il 18 settembre avremo l’immagine di
Nuestra Señora del Carmen, la patrona del Paese, che poco più di due
mesi fa è stata benedetta dal Santo Padre Benedetto XVI. Rimarrà con noi alcuni giorni
e la porteremo nella miniera per presentare l’amore di Maria come madre che si preoccupa
dei suoi figli.