Giornata mondiale dedicata agli operatori umanitari
“Noi siamo operatori umanitari”: è il titolo dell’odierna Giornata Mondiale Umanitaria,
la seconda da quando è stata istituita nel 2008 dalle Nazioni Unite per ricordare
le 22 persone morte nel 19 agosto del 2003 in un bombardamento dell’Ufficio Onu in
Iraq. Sono moltissimi gli operatori umanitari, dell’Onu e delle varie organizzazioni
non governative, che perdono la vita ogni anno nell’adempimento del loro lavoro. Nel
2009 si sono registrati 102 morti, quattro volte più di dieci anni fa. Quest’anno
la perdita più grande si è verificata a seguito del terremoto di Haiti del gennaio
scorso. Ma chi sono gli operatori umanitari? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto
a Marco Bertotto, direttore di “Agire”, l’Agenzia Italiana per la Risposta
alle Emergenze che raggruppa le più importanti ed autorevoli organizzazioni non governative
italiane.
R. - I primi
operatori umanitari sono le comunità colpite dalle emergenze, dai disastri naturali;
i primi operatori umanitari intervengono sul loro Paese … Quindi dobbiamo in qualche
modo allontanare l’idea che l’operatore umanitario sia un eroe occidentale che porta
sicurezza e prosperità, e dare invece un’immagine più complessa. Ci sono tantissimi
professionisti occidentali, ma ci sono in prima fila le popolazioni colpite, le organizzazioni
non governative locali, le comunità che sono direttamente coinvolte nelle catastrofi.
D.
- Negli ultimi decenni, il lavoro delle organizzazioni umanitarie e la loro risposta
alle emergenze è diventata molto più rapida, molto più efficace. Tutto questo ha corrisposto,
però, ad una maggiore esposizione alla violenza ed ai rischi, e lo abbiamo visto nelle
cifre di quest’anno: i 102 operatori uccisi nel 2009, una cifra che è di quattro volte
superiore a quella di dieci anni fa. Dunque: maggiore azione, maggiori rischi?
R.
– Intanto, una diversa esposizione del lavoro umanitario, che oggi – in un contesto
globalizzato – vede gli stessi governi utilizzare l’attività di assistenza umanitaria
per finalità di politica estera, per cui in qualche modo c’è una commistione tra assistenza
umanitaria politica e – spesso – presenza militare che mette a rischio l’azione degli
operatori umanitari autentici, quelli, cioè, che intervengono nel rispetto dei principi
umanitari, di imparzialità, di indipendenza, di neutralità...
D. –
... che sono i fondamentali principi del lavoro umanitario … Quanto è difficile, per
voi, mantenervi fede?
R. – E’ molto difficile proprio perché siamo –
in qualche modo – vittime di una politicizzazione dell’aiuto umanitario. Siamo in
un contesto in cui l’aiuto umanitario viene utilizzato in modo strumentale, viene
accompagnato da strategie di presenza militare … L’operatore umanitario non è più
considerato dalle popolazioni colpite dai disastri e coinvolte nei conflitti, come
un soggetto “terzo”, neutrale, indipendente: molto spesso la sua presenza è associata,
invece, alla presenza di potenze occupanti e al ruolo invasivo ed invadente di potenze
militari. E’ più difficile, quindi, essere operatori umanitari, è più rischioso ma
siamo anche in una situazione in cui il ruolo e l’azione delle agenzie umanitarie
è indispensabile a fronte di un aumento del numero di persone colpite da emergenze
complesse e disastri naturali. Si calcola che ormai siano circa 300 milioni le persone
che, ogni anno al mondo, vivono situazioni che rendono necessario un intervento di
assistenza umanitaria.
D. – Ma quali sono le sfide per gli operatori
umanitari?
R. – Molto spesso, ci sentiamo incapaci come agenzie e organizzazioni
umanitarie, di intervenire in contesti in cui ci rendiamo conto che siano in gioco
vite umane; ma l’intervento rende indispensabile affrontare problematiche politiche,
strategiche, militari e di sicurezza che spesso esulano dalle prerogative degli operatori
militari. C’è un problema di invisibilità dell’emergenza, c’è un problema di fondi
– sono sempre di più i fondi a disposizione: nel 2009, 15 miliardi di dollari – ma
è sproporzionato il modo in cui i fondi vengono distribuiti. C’è una sperequazione
legata a fenomeni di comunicazione, di attenzione mediatica che deprime la capacità
d’intervento delle organizzazioni umanitarie.