Il Quartetto rilancia i negoziati diretti tra Israele e Autorità palestinese
Il Quartetto per il Medio Oriente – composto da Usa, Onu, Ue e Russia – rilancia con
decisione la strada dei negoziati diretti tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese
per la ripresa del processo di pace. La proposta è contenuta in un documento che le
parti hanno preso in considerazione. Tuttavia, il premier israeliano Benyamin Netanyahu
si è detto disponibile a una ripresa dei negoziati ma non vuole nessuna condizione
preliminare, mentre l’Anp chiede che venga prima fermata l’espansione degli insediamenti
di coloni in Cisgiordania. A Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del "Corriere della
Sera" ed esperto di Medio Oriente, Stefano Leszczynski ha chiesto quali siano i nodi
che impediscono oggi un dialogo diretto tra israeliani e palestinesi.
R. – Il nodo
é che in realtà non ci sono le condizioni per un vero negoziato, perché da parte israeliana,
in questo momento, c’è la vittoria totale, c’é la sicurezza di avere il controllo
militare e politico della situazione, mentre abbiamo gli americani che sono largamente
disinteressati ad un impegno vero. Barack Obama ha altre questioni da risolvere, ha
da assicurare l’uscita delle truppe dall’Iraq, gestire il difficile nodo in Afghanistan.
Siamo ancora più indietro dell’inizio dei negoziati di pace ad Oslo nel 1993. Adesso
c’è questo congelamento della costruzione all’interno delle colonie in Cisgiordania,
che dovrebbe avvenire nelle prossime tre settimane, ed anche se questo avvenisse,
Abu Mazen dovrebbe fare i suoi conti comunque con Hamas.
D. – Gli unici
che sembrano credere, in realtà, ancora ad una negoziazione e quindi alla necessità
di mantenere i contatti con le parti, sono gli egiziani. Come mai? E' solo un atteggiamento
di facciata, c’è un secondo fine o realmente hanno "una chiave diplomatica" per mantenere
il dialogo con le due parti?
R. – L’idea egiziana è sempre stata quella,
tramite la questione israelo-palestinese, di avere un ruolo politico e diplomatico
predominante in Medio Oriente. La questione israelo-palestinese è una questione anche
molto simbolica. Poi c’è anche un aspetto molto concreto: gli egiziani sono davvero
gli unici veramente preoccupati della presenza di Hamas a Gaza. Da qui, la necessità
di mediare, rilanciare, aiutare in qualche modo Abu Mazen, cercare di contenere e
di controllare il fenomeno-Hamas.
D. – E’ plausibile il fatto che a
Gaza ci siano delle formazioni qaediste che stanno prendendo il sopravvento su Hamas
e quindi uno dei timori è proprio quello che Al Qaeda possa prendere il controllo
di Gaza?
R. – Questo timore, in qualche modo, si era concretizzato,
avverato l’anno scorso: Hamas ha avuto degli scontri militari duri in questi ‘gruppi
qaedisti’, chiamiamoli così, gruppi legati alla jihad islamica, legati addirittura
ad Al Qaeda. Questi gruppi esistono e comunque questo è anche uno degli effetti boomerang
del blocco, della chiusura che impongono gli israeliani: quando si chiude la Striscia
ci sono, inevitabilmente, fenomeni di radicalizzazione. Hamas ormai si trova a dover
controllare dei gruppi che la superano in termini di estremismo.