2010-08-13 20:10:44

Myanmar: dopo 20 anni le prime elezioni, ma senza l'opposizione


Per la prima volta dal 1990, il Myanmar, ex Birmania, tornerà al voto. La giunta militare al potere ha fissato per domenica 7 novembre le elezioni legislative, proprio una settimana prima del previsto termine degli arresti domiciliari per la leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Molti osservatori internazionali parlano di pericolo per la legalità. Sono esclusi dalle candidature i detenuti per reati politici, per i quali l’Onu ha chiesto la liberazione prima del voto. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con l’onorevole Piero Fassino, inviato dell’Unione Europea per l’ex Birmania: RealAudioMP3

R. – Pur con i limiti, credo che sia però un’opportunità. Si sono registrati fino ad oggi 33 partiti, alcuni dei quali formati da esponenti dell’opposizione che hanno passato anche molti anni in carcere. Le minoranze etniche che costituiscono la Birmania in alcuni territori sono nettamente in maggioranza, si orientano anch’esse a partecipare per aumentare il peso della loro rappresentanza. Si eleggerà un parlamento, che oggi non c’è e, in ogni caso, dopo ci sarà. Dopo si darà vita ad un governo civile, che sostituisce il governo militare. È vero che molti degli esponenti che si presentano alle elezioni con abiti civili sono, oggi, esponenti del regime militare, ma un uomo incomincia a ragionare diversamente se ha una divisa o se ha una cravatta. Penso che ci sia una possibilità. Poi, ripeto, se questa possibilità ci sarà o no, lo vedremo il 7 novembre; se ci sarà, avremo fatto un passo avanti; se non ci sarà, avremo tutto il tempo di prendere tutte le decisioni, anche le più drastiche, nei confronti di chi non ha onorato un impegno che noi chiediamo.

D. – Escluso dalle consultazioni chi ha avuto una condanna politica: non ci sarà il Premio Nobel per la pace e leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi …

R. – Non c’è nessuno che non veda i rischi di questo passaggio elettorale e del percorso che vi porterà. Diciamo che queste elezioni sono una sfida: non è garantito in partenza che siano effettivamente trasparenti e democratiche, ma non è neanche escluso che il processo stesso vada al di là della volontà di chi le ha indette …

D. – Perplessità da parte di molti osservatori: secondo lei, qual è il compito della comunità internazionale in questa fase?

R. – Credo che il compito della comunità internazionale non sia tanto quello di mettersi a giudicare oggi se le elezioni saranno o non saranno regolari, quanto di battersi oggi perché lo siano. La comunità internazionale ha il dovere non solo di attendere ma di lavorare per sollecitare le autorità birmane a garantire che le elezioni siano trasparenti e mettere in campo anche un’azione di monitoraggio perché sia così. Un oppositore che ho incontrato mi ha detto: “Io non so se le elezioni del 2010 saranno trasparenti, però bisogna farle perché siano trasparenti quelle del 2015”, cioè le elezioni come la prima tappa di un processo di transizione che – si spera – possa finalmente incominciare dalle elezioni …








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