Myanmar: dopo 20 anni le prime elezioni, ma senza l'opposizione
Per la prima volta dal 1990, il Myanmar, ex Birmania, tornerà al voto. La giunta militare
al potere ha fissato per domenica 7 novembre le elezioni legislative, proprio una
settimana prima del previsto termine degli arresti domiciliari per la leader dell’opposizione
e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Molti osservatori internazionali parlano
di pericolo per la legalità. Sono esclusi dalle candidature i detenuti per reati politici,
per i quali l’Onu ha chiesto la liberazione prima del voto. Massimiliano Menichetti
ne ha parlato con l’onorevole Piero Fassino, inviato dell’Unione Europea per l’ex
Birmania:
R. – Pur
con i limiti, credo che sia però un’opportunità. Si sono registrati fino ad oggi 33
partiti, alcuni dei quali formati da esponenti dell’opposizione che hanno passato
anche molti anni in carcere. Le minoranze etniche che costituiscono la Birmania in
alcuni territori sono nettamente in maggioranza, si orientano anch’esse a partecipare
per aumentare il peso della loro rappresentanza. Si eleggerà un parlamento, che oggi
non c’è e, in ogni caso, dopo ci sarà. Dopo si darà vita ad un governo civile, che
sostituisce il governo militare. È vero che molti degli esponenti che si presentano
alle elezioni con abiti civili sono, oggi, esponenti del regime militare, ma un uomo
incomincia a ragionare diversamente se ha una divisa o se ha una cravatta. Penso che
ci sia una possibilità. Poi, ripeto, se questa possibilità ci sarà o no, lo vedremo
il 7 novembre; se ci sarà, avremo fatto un passo avanti; se non ci sarà, avremo tutto
il tempo di prendere tutte le decisioni, anche le più drastiche, nei confronti di
chi non ha onorato un impegno che noi chiediamo.
D. – Escluso dalle
consultazioni chi ha avuto una condanna politica: non ci sarà il Premio Nobel per
la pace e leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi …
R. – Non c’è nessuno
che non veda i rischi di questo passaggio elettorale e del percorso che vi porterà.
Diciamo che queste elezioni sono una sfida: non è garantito in partenza che siano
effettivamente trasparenti e democratiche, ma non è neanche escluso che il processo
stesso vada al di là della volontà di chi le ha indette …
D. – Perplessità
da parte di molti osservatori: secondo lei, qual è il compito della comunità internazionale
in questa fase?
R. – Credo che il compito della comunità internazionale
non sia tanto quello di mettersi a giudicare oggi se le elezioni saranno o non saranno
regolari, quanto di battersi oggi perché lo siano. La comunità internazionale ha il
dovere non solo di attendere ma di lavorare per sollecitare le autorità birmane a
garantire che le elezioni siano trasparenti e mettere in campo anche un’azione di
monitoraggio perché sia così. Un oppositore che ho incontrato mi ha detto: “Io non
so se le elezioni del 2010 saranno trasparenti, però bisogna farle perché siano trasparenti
quelle del 2015”, cioè le elezioni come la prima tappa di un processo di transizione
che – si spera – possa finalmente incominciare dalle elezioni …