La denuncia dei missionari: la guerriglia in Congo, pretesto per lo sfruttamento delle
risorse
“La guerra che le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (Fardc) stanno
conducendo contro i ribelli rwandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del
Rwanda (Fdlr) e ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e dell’Adf-Nalu
non convince più nessuno per varie ragioni” afferma una nota inviata a Fides dalla
“Rete Pace per il Congo”, promossa dai missionari che operano nel Paese. “Per quanto
riguarda la regione di Beni-Lubero, si nota che gli attacchi contro i ribelli stranieri
sono condotti come se questi ultimi vivessero tra la popolazione congolese, sia nelle
città che nei villaggi. E' così che si cercano i ribelli stranieri nelle case e nei
campi degli autoctoni, con tutte le conseguenze che tale procedura comporta: estorsioni,
stupri, furti e saccheggi. I militari congolesi sono inviati sul campo detto di battaglia
senza fornirli di un salario sufficiente, provviste alimentari e alloggio. Di conseguenza,
migliaia di militari sono costretti a vivere a spese delle popolazioni già stremate
da 14 anni di guerra. La domanda che ci si pone è quella di sapere chi è il vero obiettivo
delle operazioni Ruwenzori: se le popolazioni congolesi o i ribelli stranieri” afferma
la nota. Inoltre il comando delle operazioni militari è affidato ad ufficiali che
facevano parte della guerriglia che mirava a staccare le regioni dell’est dal resto
del Congo. I crimini di guerra commessi da questi militari non sono mai sanzionati
né indagati. Infine, i ribelli stranieri ai quali si stando la caccia “resistono da
15 anni alle truppe della Monuc o Monusco (le due Missioni dell’Onu in Congo) e ai
vari eserciti rwandese, ugandese, sudanese e congolese. Se, da una parte, finora l'opzione
militare non è stata efficace, dall’altra, l'Onu non vuole organizzare una tavola
rotonda di pace con i rappresentanti dei ribelli, per cercare insieme le modalità
che possano condurre alla pace” afferma la nota. “Si può quindi dedurre che non c’è
alcuna volontà politica per risolvere la questione dei gruppi armati stranieri. Al
contrario, essi sono mantenuti, appoggiati e utilizzati dalle multinazionali e dai
governi di alcuni Paesi limitrofi per mantenere quella situazione di insicurezza che
permette lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie della Repubblica Democratica
del Congo e, in futuro, una eventuale divisione del Paese in vari piccoli Stati” conclude
la nota. Il rischio di “balcanizzazione” del Paese, ovvero di smembramento del Congo
in Stati più piccoli (e quindi facilmente controllabili da interessi stranieri), è
stato più volte denunciato dai vescovi congolesi.