I cristiani lasciano il Pakistan: la denuncia di mons. Saldanha
''I cristiani stanno cominciando a lasciare il Pakistan, anzi molti lo hanno già fatto'':
è la denuncia lanciata, in una intervista all’Asca, dall'arcivescovo di Lahore e presidente
della Conferenza episcopale pakistana, mons. Lawrence Saldanha, che denuncia le crescenti
violenze anticristiane nel Paese. L’ultimo fatto eclatante risale al 19 luglio scorso,
quando due fratelli cristiani sono stati uccisi nella città pakistana di Faisalabad
mentre uscivano dal tribunale che era in procinto di assolverli dall'accusa di blasfemia.
A partire – afferma il presule - sono ''soprattutto i più istruiti. Non appena hanno
un'occasione vanno all'estero. Molti vivono in Francia, Germania, Usa e Inghilterra''.
Il fenomeno – aggiunge - è ''particolarmente grave perché perdiamo le persone migliori''
e rende problematico ''mandare avanti la vita stessa della Chiesa''. ''E' difficile
- spiega mons. Saldanha - trovare una persona preparata, laica, che accetti di assumere
un ruolo di responsabilità in diocesi. Tutti se ne vanno, anche gli insegnanti. Lo
stesso i giovani, che vogliono lasciare il Pakistan perché non si sentono sicuri,
e sentono che qui non possono essere felici''. I cristiani in Pakistan sono poco più
di due milioni in un Paese che conta una popolazione di 175 milioni, in stragrande
maggioranza musulmani. E' una Chiesa ''molto povera e oppressa'', racconta mons. Saldanha:
''La nostra gente non è molto ricca, deve fare sacrifici e lavorare duro. Sono venditori
ambulanti, addetti alla pulizia delle strade, collaboratori domestici o braccianti
nelle fattorie''. La vera spina nel fianco per i cattolici del Pakistan – e per le
minoranze religiose in genere - è la legge sulla blasfemia. Approvata 25 anni fa,
punisce, finanche con la morte, chiunque ''sia colpevole di offendere Maometto o il
Corano''. Le accuse, denuncia l'arcivescovo di Lahore, sono spesso inventate o contraffatte:
''Dobbiamo subire attacchi per presunti atti di blasfemia che la gente crede che abbiamo
commesso contro l'islam. Anche se non lo facciamo, veniamo lo stesso accusati, perché
la legge viene usata per opprimere i cristiani e anche ucciderli, oppure per esercitare
pressioni e costringerli alla conversione''. La legge, di cui la Chiesa ha chiesto
più volte l'abolizione, ''è come una spada di Damocle che pende sulla nostra comunità''.
La situazione è peggiorata negli ultimi anni, dopo gli attacchi dell'11 settembre
e l'inizio della campagna occidentale in Afghanistan. ''Adesso - racconta mons. Saldanha
- c'è molto odio in Pakistan contro le altre religioni, soprattutto contro i cristiani.
Ci sono provocazioni e violenze nelle scuole, sul lavoro, negli ospedali''. L'arcivescovo
cita l'esempio di un negoziante cristiano, un sarto, oggetto di persecuzioni nella
sua città perché aveva troppo successo negli affari: l'unica via d'uscita è stata
quella di convertirsi all’islam. Per mons. Saldanha, ''in Pakistan è in atto oggi
una grande lotta in corso tra gli estremisti e i sostenitori di una forma moderata
di islam. I moderati sono in effetti la maggioranza ma non sono molto ben organizzati,
mentre i fondamentalisti lo sono e ricorrono anche agli attentati suicidi, alle autobomba,
agli omicidi mirati''. Stretti in mezzi a questo conflitto, i cristiani vengono spesso
dimenticati: ''Il governo - denuncia mons. Saldanha - non ha fatto molto per contrastare
le violenze contro i cristiani perché ha paura dei fondamentalisti. Quando ci sono
degli attacchi contro le nostre comunità non condanna nemmeno gli attacchi, se non
in uno o due casi''. I politici – secondo il presule - sono troppo deboli per fare
qualcosa. Non possono cambiare la legge sulla blasfemia perché temono la reazione
dei fondamentalisti''. Le prospettive per il futuro non sono positive: ''I fondamentalisti
diventano ogni giorno più forti'' e si può solo sperare che, tra i pakistani, prevalga
''il buon senso''. All'orizzonte, poi, c'e' il ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan
nei prossimi anni: ''Credo che non sarà un bene per noi - osserva mons. Sadalnha -,
saremo ancora meno sicuri di quanto siamo ora. Ci sarà ancora più pressione su di
noi''.