Non c’è tregua all’agonia del popolo pakistano, messo in ginocchio dalle forti piogge
monsoniche che da giorni flagellano il Paese. Le vittime del maltempo - è l’ultima
stima delle Nazioni Unite - sarebbero almeno 1600 e oltre 15 milioni le persone variamente
colpite dalle peggiori alluvioni che il Paese ricordi. Ma i metereologi rinnovano
l’allarme per le regioni del sud, ricche di fiumi ed esposte al pericolo-inondazioni:
1300 i villaggi a rischio, mentre le autorità chiedono alla popolazione di abbandonare
l’intera area. Oggi il premier pakistano, Yousuf Raza Gilani, in visita nel distretto
meridionale di Sindh, ha lanciato un appello alla comunità internazionale: “Il governo
ha fatto tutto il possibile, ma la situazione va oltre la nostra immaginazione”. Da
Rawalpindi, nel nord, a 20 km dalla capitale Islamabad, la testimonianza di Stella
John, raccolta da Claudia Di Lorenzi:
R. – C’è
una parrocchia a Nowshera, che è una città che è andata sotto l’acqua, a circa 200
km da qui. Il vice parroco è un giovane sacerdote che è stato ordinato solo due anni
fa e mi ha raccontato che ci sono 400 famiglie cattoliche che lui conosce, che si
trovano tutte in un campo, senza nulla, senz’acqua. Lui sapeva di un ragazzo cattolico
che è morto e diceva di non sapere di altri per fortuna. Ma ci sono tantissime famiglie
e persone che hanno perso tutto. Diceva che sono appena arrivate due famiglie che
piangono, perché erano rimaste isolate in montagna. Arrivando l’acqua, infatti, tanti
sono scappati verso l’alto e poi però, con l’acqua in mezzo, sono rimasti isolati
per giorni, non essendoci più strade per tornare e per trovare qualcosa da mangiare
e qualcuno che li potesse aiutare.
D. – Come procedono i soccorsi? Quali
sono le maggiori necessità?
R. – Anche la Caritas si sta organizzando
per mandare aiuti. Le strade sono pericolose. Il parroco diceva che giorno e notte
sta andando dietro alle famiglie. Abbiamo saputo che anche la Nunziatura sta mandando
aiuti. Stiamo cercando di mobilitare anche il nostro Movimento dei Focolari. Possiamo
mettere insieme delle cose e portarle. Il parroco diceva che in questo momento la
gente ha anche bisogno di essere ascoltata. Raccontava che una mamma gli si è attaccata
al collo e gli ha detto di avere perso tutto e che sua figlia doveva sposarsi ad ottobre
e tutta la dote che aveva preparato ora non c’è più. Un’altra signora gli ha raccontato
di averci messo 80 anni per farsi una casa e adesso non ha più altri 80 anni. Dice
che la gente è distrutta e che ha bisogno di qualcuno che venga ad ascoltare, di poter
comunicare il dolore agli altri. Abbiamo saputo che un’organizzazione, la World Vision
International, come anche l’Onu, si stanno organizzando e che anche piccoli gruppi
cercano di andare e stare loro vicino.
D. – Ci sono particolari testimonianze
di solidarietà?
R. – Oggi è domenica e tutti i parroci hanno fatto un
annuncio nelle chiese. Le persone ora si stanno mettendo a disposizione per aiutare
a portare le cose e i soldi. Una famiglia mi ha detto proprio poco fa di essere andata
a trovare queste persone e di avere visto che si trovavano tutti in un campo, cristiani
e musulmani insieme, e che si aiutavano fra di loro. Qui nessuno vede più né cristiani
né musulmani, tutti sono pronti ad aiutare tutti. Sono momenti che uniscono il Paese
in un senso di fratellanza. Il dolore è di tutti.