Afghanistan: i talebani uccidono 10 operatori di una Ong cristiana
Sdegno nella comunità internazionale per l’uccisione da parte dei talebani, nel nord
dell’Afghanistan, di otto operatori sanitari occidentali e due afghani che lavoravano
per un Ong di ispirazione cristiana. Il servizio è di Marco Guerra:
Sono stati
messi in fila in un bosco prima di essere crivellati di colpi. L’esecuzione degli
otto operatori della "Missione Internazionale d'Assistenza" (Iam), l'Ong di cui facevano
parte tutte le vittime, è avvenuta ieri nel nordest dell’Afghanistan. Sei di loro
erano medici dell’ospedale oftalmico Noor di Kabul. In totale il gruppo era composto
da sette uomini, di cui cinque americani e due afghani, e tre donne, una statunitense,
una tedesca e un'inglese, che formavano un team mobile che portava assistenza nelle
zone più remote del Paese. Le salme sono state ritrovate grazie alla testimonianza
di un interprete afghano risparmiato dai talebani perché musulmano. L’uomo ha ricostruito
gli ultimi spostamenti degli operatori nella turbolenta provincia del Nuristan, dove
hanno trascorso diversi giorni per visitare la popolazione locale. Nella rivendicazione,
giunta da un portavoce dei talebani, gli esponenti dell'Ong vengono definiti “missionari
cristiani” ed accusati di fare proselitismo con l’ausilio di alcune Bibbie in lingua
dari. Questa tragedia – affermano i responsabili dell’Ong "Missione Internazionale
d'Assistenza" - ha impatto negativo sulla nostra capacità di continuare a lavorare
al servizio del popolo afghano. Si spera ora che l'accaduto non fermi il lavoro da
cui traggono beneficio 250mila afghani ogni anno.
Per una testimonianza
sull’attuale momento che sta vivendo l’Afghanistan, Giada Aquilino ha raggiunto
telefonicamente a Kabul il padre barnabita Giuseppe Moretti, responsabile della
comunità cattolica internazionale nella capitale afghana:
R. – E’ un
periodo di preparazione alle importanti elezioni politiche che si svolgeranno il mese
prossimo. C’è grande fermento e di conseguenza, da parte dei talebani, mi sembra che
ci sia proprio una dimostrazione di opposizione a questo cammino verso la democratizzazione
del Paese. Qui a Kabul il clima è apparentemente tranquillo, però si moltiplicano
le misure di sicurezza. Si prevede un settembre caldo. In questi nove anni sono morti
tanti civili, sono morti tanti militari afghani, sono morti tanti militari della coalizione.
C’è un grande sacrificio di vite umane, ma - dal punto di vista dei benefici per la
popolazione - dobbiamo dire che la situazione non è rosea. La popolazione ha avuto
molto poco da questa pioggia di aiuti che è arrivata: c’è mancanza di scuole, di ospedali,
di ristrutturazioni di strade, di fogne, di leggi per la tutela dei lavoratori. Non
c’è stato l’aumento dei salari, mentre è cresciuta la disoccupazione.
D.
– Lei è accanto alla gente comune. Come vive la popolazione locale?
R.
– Con la forza che viene dalla fede profonda che ha nell’islam. Ovviamente anche la
gente fa gli stessi discorsi: “Quando si arriverà ad avere un po’ di pace, quando
avremo un salario dignitoso?” La gente vive sempre con la speranza che un giorno o
l’altro l’Afghanistan ritorni ad essere quella che era, in pace.
D.
– Com’è composta la comunità cristiana in Afghanistan?
R. – Quando si
parla di comunità cristiana, si parla esclusivamente di comunità cattolica internazionale:
quindi non esiste alcuna comunità cristiana, meno che meno cattolica, afghana. La
comunità internazionale cattolica conta 100, 150 persone. Poi c’è una presenza operativa
che è fatta dalle due comunità di suore, le Suore di Madre Teresa e l’Associazione
pro bambini di Kabul, un’associazione intercongregazionale. Le Suore di Madre Teresa
ospitano 24 ore su 24, in maniera fissa, una decina di bambine che vanno da quelle
abbandonate dai genitori e portate lì dagli ospedali a quelle con gravi handicap;
poi, su mandato dei ministeri sociali, hanno il compito di monitorare circa 200 famiglie
tra le più povere, il che significa migliaia di persone. L’altra associazione, quella
pro bambini di Kabul, assiste invece una trentina di bambini disabili, in maniera
straordinaria, come sanno fare le suore, con grande soddisfazione dei genitori. Tanto
che questi bambini, esclusi dalla scuola pubblica, dopo un paio d’anni che sono seguiti
da queste suore, riescono ad essere ammessi e a volte anche ad eccellere nell’istruzione.
Ho tralasciato di parlare delle Petites Soeurs di Gesù, ma loro sono
qui da oltre 50 anni e lavorano negli ospedali, quindi a contatto diretto con la gente.
Quello che contraddistingue la nostra presenza è questa discrezione: la testimonianza
‘fatta di fatti’, nel silenzio.