2010-08-04 08:03:45

Terrorismo: confronto a Londra tra il pakistano Zardari e il britannico Cameron


Il presidente pakistano Asif Ali Zardari è arrivato in Gran Bretagna per una serie di delicati colloqui con i vertici londinesi. Al centro degli incontri, il duro scambio di accuse tra Zardari e il premier David Cameron, che ha avanzato sospetti sul ruolo del Pakistan nel sostegno al terrorismo internazionale. Ce ne parla Sagida Syed: RealAudioMP3

Di diverso avviso circa l’andamento della guerra in Afghanistan il presidente Usa Barack Obama, il quale ha recentemente affermato che sono stati fatti enormi progressi nella guerra contro i terroristi di Al Qaeda. Solo ieri, Barack Obama aveva confermato in modo ufficiale le tappe del ritiro delle truppe americane dall'Iraq dalla fine del mese corrente. Nel Paese del Golfo rimarranno tuttavia 50mila soldati, ma si limiteranno ad addestrare le forze irachene, sino alla fine del 2011, quando torneranno tutti a casa. Sulla strategia seguita da Washington per porre fine a questi sanguinosi conflitti Salvatore Sabatino ha intervistato Paolo Mastrolilli, esperto di politica statunitense del quotidiano “La Stampa”: RealAudioMP3

R. - Il presidente Obama sta seguendo un programma che era stato concordato dal suo predecessore: già il presidente Bush aveva deciso questo genere di disimpegno, concordandolo con le autorità irachene. Il problema, naturalmente, è che prima di tutto in Iraq non siamo sicuri che la situazione di instabilità sia effettivamente terminata: queste truppe americane, questi 50 mila soldati americani, resteranno per addestrare gli iracheni in modo che possano poi controllare il Paese, ma eventualmente anche intervenire se ci fosse un ritorno della violenza. Le violenze potrebbero anche ripartire e scatenarsi proprio con la partenza degli americani, perché magari alcuni gruppi etnici o politici potrebbero decidere di fare i conti con i loro avversari, approfittando proprio dell’uscita dal Paese delle truppe americane. Dall’altro lato, poi, il presidente si trova di fronte al gravissimo problema dell’Afghanistan, che forse non sarebbe nelle condizioni attuali se non si fossero sprecati i soldi, le energie, gli uomini e le intelligenze che sono servite a gestire l’invasione in Iraq e che naturalmente allo stato attuale rappresenta il problema più grave per la coalizione occidentale in quella zona del mondo.

D. - Secondo molti osservatori quella in Iraq è la guerra di Bush. Si può dire che Obama si sia scrollato di dosso, a questo punto, l’eredità del suo predecessore?

R. - Se l’è scrollata di dosso fino ad un certo punto, perché non siamo appunto sicuri che la guerra in Iraq sia terminata. Gli americani vogliono ritirarsi completamente entro la fine dell’anno prossimo. Bisognerà poi vedere cosa succederà all’interno del Paese. Se ci sarà una stabilità democratica accettabile, allora la guerra sarà effettivamente avviata verso la conclusione; se invece riprenderanno i disordini, sarà difficile per l’Occidente non interessarsene. Resta anche aperta la guerra in Afghanistan che è stata iniziata dal presidente Bush e che il presidente Obama ha ereditato, ma che continua perché ritiene che sia indispensabile per evitare che al Qaeda possa tornare a colpire gli Stati Uniti e gli altri alleati occidentali.

D. - Su una cosa non ci sono dubbi: Obama è in calo di consensi. Queste decisioni di carattere militare possono essere ricollegate alla necessità di risalire nell’appoggio da parte degli americani?

R. - Obama si era distinto durante la campagna elettorale, anche all’interno dei candidati democratici, per la sua opposizione alla guerra in Iraq. Aveva promesso di porre termine a questo intervento e, quindi, in questa maniera sta cercando di mantenere la sua promessa, ristabilendo un collegamento ed un consenso con la componente democratica pacifista che lo aveva sospinto durante le primarie e poi lo ha sostenuto anche durante le elezioni. A novembre sono in programma le elezioni midterm ed Obama è in calo dei sondaggi e spera in questo modo di recuperare un po’ di quell’elettorato che lo aveva aiutato a diventare presidente.







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