Bilancio positivo alla sessione del Segretariato attività ecumeniche a Chianciano
Avvicinare confessioni diverse, cooperare al progresso dell’ecumenismo, riuscire a
comprendere la diversità come un valore. Sono alcuni degli obiettivi della 47.ma sessione
del Sae – il Segretariato attività ecumeniche -, che quest’anno ha scelto di confrontarsi
sul tema “Sognare la comunione, costruire il dialogo. Cento anni di speranza ecumenica”
in occasione del centenario della prima assemblea del movimento ecumenico, svoltasi
a Edimburgo, in Scozia, nel 1910. L’incontro, che si conclude oggi, è stato anche
occasione per riflettere sui principali ambiti di impegno: teologico, etico, missionario.
Per un bilancio di questi giorni, Cecilia Seppia ha sentito Mario Gnocchi,
presidente del Sae:
R. - Un bilancio
positivo, perché mi pare che si sia riusciti da una parte a guardare a questi 100
anni trascorsi dalla Conferenza di Edimburgo ad oggi con realismo, senza trionfalismi,
ma registrando il cammino compiuto, i problemi ancora aperti, i traguardi raggiunti.
Dall’altro, trarre da questo passato spunti di verifica per questo presente.
D.
- Nel titolo di quest’anno c’è questa frase: “Sognare la comunione”...
R.
- Nel “sognare” non abbiamo voluto esprimere qualcosa che allontani dalla realtà,
ma il sogno come visione che ispira il cammino, il sogno profetico, perché sia la
visione che apre la strada verso il futuro. D’altra parte abbiamo voluto dire, accanto
a “sognare la comunione”, costruire il dialogo, perché ci pare che sia nel cammino
ecumenico degli anni passati sia oggi, occorra coniugare questi due aspetti: da una
parte la capacità di vedere oltre, dall’altra la pazienza di una costruzione quotidiana.
D.
- Nella sessione c’è anche un approfondimento sui rapporti con l’ebraismo. A che punto
siamo, secondo lei?
R. - Attualmente, anche questi rapporti conoscono
delle difficoltà che vengono da tanti motivi. Mi pare, però, che sia sempre aperta
questa strada. Da parte nostra, vogliamo percorrerla con un impegno costante e con
fiducia.
D. - La sessione passa anche in rassegna quelle che sono le
pietre miliari del movimento ecumenico negli ultimi 100 anni, cioè dalla Conferenza
di Edimburgo al Concilio Vaticano II. Ma si può rintracciare un filo rosso, un principio
ispiratore tra questi eventi?
R. - Certamente sì, perché sia il movimento
ecumenico, nato in area protestante, sia poi l’apporto della Chiesa cattolica, a partire
dal Concilio Vaticano II, muovono da una medesima visione: la possibilità di ritrovare
una piena comunione, pur nella coscienza delle divisioni, che vanno affrontate con
realismo e pazienza. Mi pare, però, che sull’uno e sull’altro fronte - così come da
parte delle Chiese ortodosse - ci sia questa tensione verso una convergenza in Cristo,
la ricerca di una comunione in Lui, perché siamo tutti una cosa sola.