Omaggio ai due alpini morti in Afghanistan. Mons. Pelvi: testimoni di pace nel mondo
Ancora violenze in Afghanistan. Altri tre militari della Forza internazionale hanno
perso la vita oggi in due diversi attentati avvenuti nella zona meridionale del Paese,
mentre i talebani hanno accusato la Nato per la loro strategia basata – hanno affermato
– sull’uccisione di massa di civili. Intanto, stamattina momenti di commozione all’aeroporto
romano di Ciampino per l’arrivo delle salme di Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis,
i due soldati italiani morti due giorni fa ad Herat. Ad attenderli c’erano i familiari
e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Intorno alle 15, dopo l’autopsia,
l’apertura della camera ardente all’ospedale militare del Celio. Alle 18 i funerali
solenni nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Per una riflessione sull’accaduto
Luca Collodi ha sentito l’ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo
Pelvi che ricorda i due alpini come testimoni di pace nel mondo:
R. – Mauro
e Pierdavide, due giovani alpini. Angeli, dicono di loro i ragazzi alpini. Dinanzi
a questa drammatica prova, viene spontanea la voglia di chiedersi se abbia senso che
i nostri militari restino in quelle terre lontane. Giustifico queste domande. E’ forte
la tentazione, in ciascuno, di considerare le missioni internazionali di sicurezza
troppo rischiose, ma non possiamo ascoltare la sensibilità del momento. Le missioni
di pace sono indispensabili perché cresca la dignità dell’uomo e della famiglia umana.
D.
– Le missioni internazionali di pace sono a servizio dei diritti umani in Paesi dove
questi diritti sono spesso calpestati. Per il mantenimento dei diritti umani, vale
la pena sacrificare la propria vita?
R. – Certo, perché gli uomini della
Terra hanno tutti una storia comune: non importa che ci siano incomprensioni, tempi
di discordia; dobbiamo puntare alla virtù sociale fondamentale che, per me, è la solidarietà.
E allora queste missioni, il servizio internazionale dei militari alla sicurezza e
alla democrazia è veramente la via per offrire un futuro sereno all’umanità. Pensiamo
allora in termini di mondialità e la nostra storia non sarà destinata al declino.
D.
– La gente comune, l’opinione pubblica, riesce a capire il sacrificio che i giovani
militari fanno per il mantenimento della pace?
R. – Capiscono nella
misura in cui non sono chiusi sul proprio io. Bisogna capire che oggi la storia è
fatta di relazioni e se cresce il riconoscimento dell’altro, cresce veramente la serenità
per tutti. Il riconoscimento dell’altro non è cioè un sacrificio di sé, non é un annullamento
della mia persona, ma è la forma più compiuta di realizzazione di se stessi.
D.
– Cresce la consapevolezza di appartenere tutti alla medesima famiglia umana?
R.
– Sta crescendo tantissimo il bisogno di riconoscersi in una sola famiglia umana,
legata non tanto da obblighi e doveri ma da quella solidarietà che ha come fondamento
il donarsi. Quindi la pace, la mondialità, è un edificio indivisibile. Ciascuno, o
con il dono di sé oppure con l’egoismo, può rafforzare o distruggere per la sua parte
di responsabilità quest’edificio indivisibile. Direi che la comunità cristiana é stata
profetica, ha fatto da ‘apristrada’ nel portare la serenità, l’aiuto, il rispetto
e la dignità umana in tante realtà lontane. E allora guardiamo i nostri militari anche
come dei credenti. Chissà se, a volte, il Signore non prepari la strada per le missioni
internazionali attraverso la carità che viene seminata nelle famiglie credenti e nelle
nostre comunità parrocchiali.
D. – Lei, questa sera, celebrerà i funerali
di questi due giovani militari italiani morti in Afghanistan. Che concetto lascerà,
come ricordo, alla comunità che seguirà questa celebrazione ma soprattutto ai familiari?
R.
– La fede e la preghiera non risolvono i problemi, ma vorrei dire stasera che è proprio
la presenza di Dio – e quindi il nostro credo, il nostro mettersi in umiltà davanti
al Signore – che permette di affrontare i problemi con una luce ed una forza nuova
inspiegabili, ma che fanno scoppiare dentro di noi il mistero della consolazione e
della gioia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)