Messico: nuove vittime nella guerra del narcotraffico
Si aggrava la situazione in Messico per la guerra causata dal narcotraffico. L’esercito
federale a Guadalajara ha ucciso Ignacio 'Nacho' Coronel, signore della droga che
controllava tutta la produzione e lo spaccio di metanfetamine verso gli Stati Uniti.
Tensioni anche a Ciudad Juarez, località considerata tra le più pericolose al mondo,
dove è stato chiuso a tempo indeterminato il consolato statunitense, per ''un riesame
della sicurezza''. La guerra dei cartelli della droga ha già provocato oltre 7.000
morti dall'inizio dell'anno: nelle ultime ore, i corpi senza vita di 15 persone, molti
dei quali con evidenti segni di tortura, sono stati ritrovati nei pressi del confine
con gli Stati Uniti, in una zona spesso teatro di regolamenti di conti tra bande rivali.
Ma perché in quest’area è così imponente e sanguinoso il traffico di stupefacenti?
Risponde l’economista Riccardo Moro, intervistato da Giada Aquilino:
R. - E’
uno dei valichi di frontiera del mercato della droga. I mercati di destinazione più
importanti sono chiaramente gli Stati Uniti e l’Europa. Ci sono alcuni passaggi per
portare la droga che sono più valicabili di altri e che sono particolarmente strategici
per i trafficanti di droga e analogamente per chi cerca di combatterli. Alcuni sono
noti, come appunto il confine del Messico, e per certi aspetti sono obbligati; altri
invece sono meno noti e ignorati, non dico con connivenze ma forse con un po’ di responsabilità.
Mi riferisco, ad esempio, a ciò che era la Guinea fino a qualche mese fa: ci sono
alcuni Paesi africani o comunque sparsi nel mondo dove situazioni di dittatura o di
non rigorosa certezza del diritto consentono illegalità diffuse, che vengono sfruttate
dai narcotrafficanti per trasferire i loro prodotti. La Guinea era proprio uno di
quei ponti per far arrivare dal Sud America la droga nel mercato europeo via area;
per raggiungere gli Stati Uniti si preferiva e si preferisce fondamentalmente il trasferimento
via terra.
D. – Sono ormai meccanismi consolidati o si possono in qualche
maniera interrompere?
R. - Penso che ci siano delle dinamiche che sono
in qualche modo conosciute e sulle quali occorre un senso di responsabilità maggiore:
un consenso internazionale più rigoroso, forse, permetterebbe un’azione più efficace.
D. - Di fronte a settemila morti dall’inizio del 2010 ad oggi in Messico,
la comunità internazionale quanto può collaborare per migliorare la situazione?
R.
- Può agire su queste dimensioni macro. Non credo che sia risolvibile esclusivamente
con strumenti di ordine pubblico. Penso che sia assolutamente necessario un intervento
atto ad impedire gli spazi internazionali - prima di tutto finanziari e poi quelli
logistici, che si gestiscono con l’illegalità consentita in alcuni Stati - per rendere
poi efficace un’azione di ordine pubblico. Il semplice ordine pubblico o la semplice
militarizzazione del confine magari interromperebbe la striscia di sangue che c’è
in questo momento, ma ne costruirebbe un’altra a 500 o a 2.000 chilometri di distanza.