Il Centro Astalli inaugura nuovi locali per l'accoglienza dei rifugiati
1500 richiedenti asilo ospitati negli ultimi 10 anni, 150 solo negli ultimi dodici
mesi. Sono i numeri della casa d’accoglienza per famiglie rifugiate “Pedro Arrupe”
a Roma. Questa mattina la presentazione alla stampa dei nuovi locali della struttura,
data in comodato d’uso al Centro Astalli dalle Ferrovie dello Stato e ristrutturata
grazie al contributo della fondazione Peppino Vismara. Li ha visitati per noi Paolo
Ondarza:
Un vociare
allegro di bambini accoglie chi varca il cancello di via di Villa Spada 161 a Roma,
sede della Casa "Pedro Arrupe": piccoli, di varie nazionalità, giocano nel giardino
antistante la struttura del Centro Astalli. Sono i figli delle famiglie di rifugiati
provenienti da vari Paesi dell’est Europa, Africa e Medio Oriente. Negli occhi luminosi
di questi bimbi non c’è traccia del dramma della fuga, che i loro genitori hanno dovuto
affrontare. Un dolore disegnato, invece, nelle espressioni degli adulti ospiti del
Centro. Qui ognuno ha un compito da svolgere, in modo tale che la struttura, anche
se per un periodo limitato, possa essere considerata una casa. Sulle pareti gialle,
ancora fresche di vernice, campeggiano le foto dei tanti inquilini che si sono avvicendati
negli anni: quasi un ricordo di chi in questo luogo ha trovato il coraggio di ripartire.
Il presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna spiega
lo scopo del Centro:
R. - Migliorare l’accoglienza progettuale per i
nuclei familiari di richiedenti asilo e rifugiati, persone costrette a scappare dal
loro Paese, che fanno anche esperienza di persecuzioni e torture. Sacrificare tutta
la famiglia in un viaggio, in una fuga, richiede energie, richiede molto coraggio!
D.
- Cosa intendente per “accoglienza progettuale”?
R. - Questo vuol dire
che rifiutiamo l’assistenza fine a se stessa. Fin dall’inizio, insieme, si guarda
alle criticità per rimettersi in piedi, raggiungere l’autonomia e integrarsi.
D.
- Sulle tematiche legate all’immigrazione, le polemiche non sono mancate nell’ultimo
periodo - che cosa si può dire oggi?
R. - Alcuni festeggiano i "successi"
raggiunti a Lampedusa, che rappresentano una vergogna per noi europei. L’unica risposta
che abbiamo saputo mettere a punto per chi scappa e ci viene a chiedere aiuto è stata
quella di respingerli. Questo non ci fa certo onore e passeremo alla storia come quelli
che si sono macchiati di un crimine del genere. La soluzione di tutto non è attraverso
il respingimento, ma cercare di risolvere i conflitti nei Paesi laddove sono in corso
dei conflitti. Ci vorrebbe una volontà onesta, non fatta di parole e dove si vanno
effettivamente a colpire i traffici di armi e tutte quelle convenienze economiche
che ancora ci sono, che ci vedono protagonisti e che creano conflitti in molti Paesi
africani.
Ma cosa vuol dire per un cristiano farsi prossimo a queste
persone? Risponde il vescovo ausiliare della diocesi di Roma, mons. Ernesto
Mandara:
R. - Penso che il compito della Chiesa non sia quello
di risolvere a livello politico i problemi, anche se questi problemi hanno una ricaduta
politica. Il nostro compito è testimoniare quell’accoglienza che è fondamentale nello
spirito del Vangelo.
“Nonostante resti sempre il desiderio di rivedere
la mia terra – racconta Benkadi, rifugiato algerino – grazie all’accoglienza ricevuta
sono tornato a sperare in un futuro che prima vedevo impossibile”.