Cordoglio in Italia per la morte di due soldati del genio in Afghanistan
In Afghanistan, il presidente Karzai ha chiesto alla Nato di colpire le postazioni
talebane nel Pakistan che – ha precisato – “rappresentano la fonte del terrorismo”.
Intanto, dopo le rassicurazioni fornite da Kabul, a Lashkar-gah oggi ha riaperto l’ospedale
di "Emergency" chiuso lo scorso mese di aprile in seguito al fermo di alcuni operatori
sospettati di detenere armi nella struttura. In Italia, invece, è unanime il cordoglio
del mondo politico e istituzionale per la morte dei due soldati del genio, Mauro Gigli
e Pierdavide De Cillis, avvenuta ieri ad Herat. Domani mattina, all’aeroporto romano
di Ciampino è previsto l’arrivo delle salme. Poi, probabilmente, nel pomeriggio, si
svolgeranno i funerali nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Nelle prossime
ore il ministro della Difesa, La Russa, riferirà in Senato sull’accaduto, mentre il
premier Berlusconi ha ribadito che la missione in Afghanistan non è in discussione.
Sull’argomento è intervenuto anche l’ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo
Pelvi. “Il servizio internazionale alla sicurezza e alla democrazia dei nostri militari
– ha affermato - richiama quell'aiuto e quella collaborazione tra popoli, unica via
per offrire un futuro sereno all’umanità. Ma qual è il ruolo dei soldati italiani
nel Paese? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto ad Alessandro Politi,
analista politico e strategico:
R. – Il
mestiere che facevano, il mestiere del geniere, è un mestiere poco conosciuto. Uno
pensa al fante, l’artigliere, il carrista, ma invece questo è un mestiere altamente
pericoloso e importante. Quando si tratta di fare un ponte è il genio che entra in
azione, quando si tratta di dare un assalto a una fortificazione è il genio e quando
si tratta di sminare, purtroppo, è sempre il genio. Persone più difficilmente "rimpiazzabili".
D.
– Qual è la situazione oggi in Afghanistan? Giornalmente abbiamo un bollettino di
vittime militari e civili nonostante una situazione che viene definita di transizione,
in via di stabilizzazione...
R. – Si sta cercando di arrivare a un governo
che funzioni. Questo è il senso dell’ultimo comunicato della conferenza di Kabul.
Però ancora non si riesce a capire se le forze Nato, le forze della coalizione, sono
in grado di ottenere questo risultato con una situazione così degradata.
D.
– Questo interrogativo genera non solo in Italia la domanda: è giusto o meno continuare
a rimanere con le forze militari in Afghanistan?
R. – Questo dibattito
ormai è vecchio di quattro anni e in realtà i dati di fondo sono rimasti sempre gli
stessi. L’approccio di Obama di aumentare la componente civile, perché si tratta di
vincere delle elezioni che si combattono a colpi di fucile, è quella corretta ed è
quella che va nel senso anche delle modalità operative italiane nel loro complesso.
Quindi non siamo più alla militarizzazione a prescindere, anche alla luce di quanto
è stato pubblicato su Wikileaks.
D. – In Italia, comunque la questione
rimane aperta: cosa succederebbe se ci fosse un ritiro?
R. – Questo
sarebbe un colpo duro allo sforzo Isaf, un colpo duro al governo aghano ed un colpo
duro alla credibilità del nostro Paese, perché queste cose purtroppo sono di lungo
termine.