Benin. Le celebrazioni dei 150 anni di evangelizzazione e dei 50 anni di indipendenza
I centocinquant'anni di evangelizzazione in Benin. Dall'audacia dei primi missionari alla
primavera della Chiesa (L’Osservatore Romano, Egidio Picucci)
Il Benin,
piccolo Paese che si affaccia sul golfo di Guinea, celebra quest'anno due importanti
anniversari: il 50° dell'indipendenza — 1° agosto 1960 — e il 150° della propria evangelizzazione.
Le celebrazioni per quest'ultimo evento sono iniziate il 18 aprile scorso con una
solenne concelebrazione di fronte alla prima chiesa costruita nel Paese, ad Agoué,
nelle vicinanze di Ouidah, nel 1835. Concelebrazione presieduta da Antoine Ganyé,
vescovo di Dassa-Zoumé e presidente della Conferenza episcopale del Benin, assistito
dai vescovi del Paese e del vicino Togo. Alla cerimonia hanno partecipato circa
diecimila persone, tra cui il capo dello Stato, ministri, deputati e vari capi tradizionali
di Agoué e delle zone circostanti. Presenti in gran numero religiosi e religiose di
varie congregazioni che lavorano nel Benin e nelle regioni circostanti. Nel corso
della concelebrazione sono stati ordinati quattro sacerdoti — inviati poi in missione
— e quattro diaconi della Società delle missioni africane, mentre due religiose delle
suore Notre Dame des Apôtres hanno celebrato il loro giubileo di vita religiosa. Tutto
è avvenuto sul sagrato de la chapelle, posto tra la spiaggia e il cimitero, il luogo
di sbarco e di sepoltura dei primi missionari, stroncati in giovanissima età soprattutto
dalla febbre gialla. Benché i primi tentativi di evangelizzazione del Benin — così
dal 1975 si chiama l'ex Dahomey — siano iniziati nel 1485 e siano continuati con limitato
successo nei secoli successivi con l'arrivo di undici cappuccini bretoni — cui, nel
1644, fu affidato il vicariato apostolico — di domenicani, di agostiniani e di religiosi
di altri ordini, l'evangelizzazione vera e propria si ritiene iniziata il 16 aprile
1861, con lo sbarco a Ouidah dello spagnolo padre Francisco Fernandez e dell'italiano
padre Francesco Borghero, della Società delle missioni africane, cui era stato affidato
l'appena eretto — 28 agosto 1860 — vicariato apostolico dal Dahomy. Essi trovarono
circa 800 battezzati a Ouidah, e altrettanti a Agoué. Il merito dell'evangelizzazione
del Paese va soprattutto ai missionari di questa congregazione che vi ha profuso
sudore e sangue, e a cui, nel 1878 si unirono le suore di Notre Dame des Apôtres. Dalla
loro attività, difficile all'inizio — nel febbraio 1871 i giovani interni della missione
di Ouidah fuggirono; un bambino morì e gli stregoni e i mercanti di schiavi imposero
al re di Abomey di allontanare la missione, che riparò a Porto Novo — sono sorte le
dieci diocesi attuali, tutte rette da vescovi indigeni. Circa un migliaio i sacerdoti
impegnati nelle 312 parrocchie, a cui fanno capo oltre un milione e mezzo di battezzati,
il 27,58 per cento della popolazione. Con il clero diocesano collaborano oltre
2.500 tra religiosi e religiose — locali o stranieri — che hanno permesso alla Chiesa
che è nel Benin di inviare in aiuto alle Chiese sorelle ben 435 operatori pastorali. «La
nostra Chiesa — ha scritto l'abbé Roméo Amoussouhoui — vive una promettente primavera
che si traduce anche in un provvidenziale e costante aumento delle vocazioni maschili
e femminili. I cattolici sono un vero lievito nella massa delle nostre cinquanta etnie;
i nostri riti cattolici non sono soltanto espressioni di fede, ma anche mezzi di integrazione
sociale; la vita dei battezzati influisce positivamente su quella di chi professa
altre confessioni religiose, eccetto, forse, sul voodoo, religione ufficiale dello
Stato, che ha resistito alle potenze coloniali, ai tentativi di evangelizzazione e
perfino alla dittatura marxista-leninista che governò fra il 1972 e il 1989». Per
capire l'importanza di questa religione tradizionale — prosegue l'abbé — «basta
pensare che, quando nel 1997 il presidente Kerekou omise un riferimento al voodoo
nel suo giuramento presidenziale, le proteste della popolazione e una sentenza della
Corte costituzionale lo costrinsero a ripetere il giuramento secondo la formula prestabilita.
Contrariamente a quanto si pensa in occidente, il voodoo — propriamente detto Vodun
— è una religione monoteistica secondo la quale il creato discende da un solo dio,
Mawu, che non interagisce con gli uomini, ma delega tale compito a un insieme di spiriti.
È a essi che i fedeli offrono sacrifici, con la speranza che esaudiscano desideri
e richieste specifiche. Con le altre confessioni c'è un rapporto pacifico e rispettoso,
anche se gli adepti di alcune sette inseriscono nelle loro cerimonie vesti e altri
elementi della liturgia cattolica nel tentativo di dimostrare che “sono come gli altri
cristiani”». I missionari misero subito mano alle attività assistenziali, indispensabili
per parlare di anima a chi si trovava ad affrontare gravi problemi di sopravvivenza.
Non occorre ricordare nomi, ma dobbiamo dire che nelle scuole da loro aperte è iniziato
il progresso del Benin. Un quaderno conservato a Agoué riporta il nome di tutti gli
allievi e maestri che sono passati in questa scuola fra il 1874 e il 1914: 658 in
quarant'anni. Da esse sono usciti gli intellettuali che hanno fatto e scritto
la storia del Paese, compreso monsignor Bernardin Gantin, divenuto primo cardinale
nero dell'Africa. Le religiose hanno fatto la stessa cosa con le ragazze, contribuendo
a dare consistenza alla famiglia, un traguardo che nel Benin, purtroppo, non è stato
ancora raggiunto. Il tema su cui le diocesi sono state chiamate a riflettere durante
questo anno è quanto mai impegnativo: «Cristiano, prendi coscienza della tua speranza».
Un impegno non indifferente di fronte alla proliferazione delle sette che garantiscono
il benessere a gente che combatte con sacche di povertà endemica, soprattutto al Nord.
Con le malattie, che il alcune zone sono curate ancora con il sorcier (stregone)
di turno. Con la situazione in cui è tenuta tuttora l'infanzia, spesso abbandonata,
più spesso sfruttata nelle piantagioni di caffè o di cacao delle nazioni vicine. Con
un sincretismo religioso che non è certo compensato dalle chiese affollate e dai confessionali
presi d'assalto per varie ore del giorno. «Ma una Chiesa così giovane — conclude
abbé Amoussouhoui — saprà trovare la forza di reagire a quanto ne impedisce il cammino
verso un approfondimento e una purificazione della fede». Per l'anno della commemorazione,
che si chiuderà il 21 agosto 2011, sono previste varie cerimonie religiose, una delle
quali sulla spiaggia di Ouidha, alla Porte du retour, un arco alzato sul luogo in
cui sbarcarono i missionari nel 1861, a due passi dalla Porte sans retour, eretta
sulla sabbia bagnata ancora dalle lacrime degli schiavi portati in America latina.
«Venti anni fa, nel febbraio 1990 — ha detto Benedetto XVI il 28 maggio scorso
nel discorso al nuovo ambasciatore del Benin — si riuniva la Conferenza delle Forze
vive della Nazione. Questo importante evento, che non era solo politico, ma che testimoniava
anche la relazione intima fra la fede e la sua espressione nella vita pubblica del
Benin, ha determinato il vostro futuro e continua a ispirare il vostro presente (...)
Per la realizzazione di un simile ideale occorrono unione fraterna, amore per la giustizia
e valorizzazione del lavoro». È quanto sta facendo l'episcopato anche nel ricordo
di Isidore De Souza, l'indimenticato vescovo di Cotonou che prese parte a quella conferenza,
imponendo — l'autorevolezza di cui godeva poteva permetterglielo — al presidente
di dimettersi per avviare un nuovo corso che ha portato alla stabilità politico-sociale
di cui gode oggi il Paese.