Crisi in Somalia. Mons. Bertin: urge un maggiore impegno della comunità internazionale
La drammatica crisi somala: il debole governo di transizione, la minaccia delle milizie
armate, milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Una realtà che ha dominato
il vertice dell’Unione Africana appena concluso a Kampala in Uganda. Al centro dei
lavori soprattutto la lotta al terrorismo, ma anche i progetti di sostegno alla salute
e allo sviluppo, sui quali secondo gli analisti poco è stato fatto. La decisione principale
dei leader africani ha riguardato infatti l’aumento di circa 4.000 unità della missione
di pace a Mogadiscio, mentre restano incerte le modifiche alle regole di ingaggio.
Un’opzione sulla cui efficacia l’Onu ha espresso perplessità, condivisa dall’amministratore
apostolico in Somalia mons. Giorgio Bertin, intervistato da Gabriella Ceraso.
R. – In effetti,
le dichiarazioni ufficiali del summit mi hanno lasciato almeno con la bocca amara,
nel senso che l’aumento di altre truppe non dovrebbe cambiare di molto la situazione.
Questo aumento deve andare di pari passo con un cambiamento anche della missione affidata
ai soldati dell’Unione africana e, allo stesso tempo, a un appoggio politico ed economico
più chiaro e più impegnativo da parte della comunità internazionale. Non ci si può
fidare semplicemente, per esempio, di dare denaro per essere amministrati dal governo
di transizione.
D. – Quindi, lei dice che questo aspetto, comunque,
non è stato chiarito?
R. – Esatto. Rimango abbastanza perplesso. Però,
appunto, dico che è probabile che al di là delle dichiarazioni ufficiali forse qualche
altra decisione sia stata presa, perché proprio immediatamente prima del summit dell’Unione
Africana c’era stato un summit dei capi di Stato dei Paesi dell’Africa dell’est e,
probabilmente, forse in quella sede hanno preso qualche altro impegno. Ma questo non
è stato reso pubblico.
D. - Riguardo la cronaca in Somalia, le notizie
anche delle ultime ore sono di continue violenze, di combattimenti, non solo nel territorio
somalo ma anche in tutta la regione. Un territorio che sembra allo sbando: è così?
R.
– La realtà è proprio così come lei dice. Un governo di transizione che controlla
solo qualche punto a Mogadiscio e il resto del territorio è in balia di diverse truppe
islamiche. La gente si trova in ostaggio, i combattimenti sono continui e c’è la difficoltà
di far arrivare i generi di prima necessità.
D. – A questo proposito,
la Commissione europea ha annunciato proprio in questa sede un finanziamento di 35
milioni di euro a sostegno delle attività umanitarie in Somalia...
R.
- L’urgenza c’è, è tutto da ricostruire: piccoli ospedali, ambulatori, scuole. Mi
sembra che una parte di questi soldi se non mi sbaglio vada per ricostruire centri
di militari somali in Uganda. Bisogna vedere se in questi 35 milioni c’è questa parte
perché allora è una parte molto sostanziale.