2010-07-27 14:22:14

Israele: padre Neuhaus in difesa dei figli degli immigrati a rischio espulsione


Una “soluzione giusta e rispettosa dei diritti” dei figli degli immigrati a rischio espulsione. È quanto chiesto a gran voce dal vicario patriarcale delle comunità cattoliche di espressione ebraica, il gesuita David Neuhaus. “Sono bambini – spiega all'agenzia Sir il vicario – che frequentano le scuole israeliane, parlano ebraico e sono perfettamente integrati nella nostra società. Per loro un ritorno nella patria dei genitori, che non hanno mai visitato, potrebbe risultare uno shock. Questi piccoli conoscono solo Israele”. Per il religioso, quindi, è quanto mai “urgente stabilire dei criteri che salvaguardino i diritti di questi bambini e quelli delle loro famiglie”. Anche la Chiesa di Gerusalemme è in prima linea nell’aiutare i lavoratori immigrati, tra loro molti cristiani e cattolici. “La maggioranza di questi bambini è cristiana – prosegue il gesuita - ma ha un senso piuttosto vago di cosa significa essere cristiani. Come vicariato ebreofono, abbiamo cominciato il catechismo e dato il via a tutta una serie di iniziative volte a dare loro i fondamenti cristiani”. “Se rimarranno in Israele questi bambini rappresenteranno una grande sfida per la Chiesa locale – aggiunge ancora padre David Neuhaus - educarli alla fede cristiana in ebraico, la loro lingua, e far conoscere loro che esiste una chiesa israeliana ebreofona. Lo sforzo deve continuare con un’apertura sempre maggiore verso i migranti”. Il governo israeliano ha cominciato il 25 luglio a discutere dello status legale dei figli di lavoratori stranieri, minacciati di espulsione dal Paese. Si tratta, in particolare, di 1.200 bambini tagliati fuori da una sanatoria governativa del 2006 che ha garantito lo status giuridico ad oltre 600 figli di lavoratori immigrati. Nel corso della riunione del 25 luglio la commissione creata ad hoc per la soluzione del problema ha proposto al premier Netanyahu di concedere il permesso di residenza a tutti i bambini che sono giunti in Israele quando avevano meno di tredici anni e ai loro fratelli e sorelle più giovani e che hanno vissuto nel Paese almeno cinque anni e risultano iscritti a una delle scuole statali. Il governo ha deciso di continuare la discussione nella sua prossima seduta prima di adottare una decisione. (M.G.)







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