Si celebra oggi la Giornata internazionale dedicata a Nelson Mandela
Si celebra oggi, novantaduesimo compleanno di Nelson Mandela, il “Mandela Day” voluto
dall’Onu nel novembre scorso con l’obbiettivo di riaffermare la priorità della lotta
al razzismo nell’agenda delle Nazioni Unite. “Non c’è nessuna strada facile per la
libertà”, ha scritto il premio Nobel per la pace e primo presidente nero del Sudafrica
post-apartheid. Attivista per i diritti umani, condannato all’ergastolo negli anni
Sessanta, Mandela rifiutò la scarcerazione in cambio della rinuncia alla lotta armata
e fu infine rilasciato nel 1990, sotto la spinta delle pressioni della comunità internazionale.
Sul valore di quest’uomo, nominato dall’Onu “eroe del nostro tempo”, Paolo Ondarza
ha sentito Giampaolo Calchi Novati, docente di Storia contemporanea dell’Africa
all’Università di Pavia.
R. – Sicuramente,
il ruolo che ha avuto Nelson Mandela nella fase critica dell’uscita dall’apartheid
ne ha fatto veramente un protagonista assoluto. C’è qualcuno che addirittura gli rimprovera
di non aver sfruttato fino in fondo l’enorme popolarità che lo circondava per dare
qualche spallata in più alla demolizione di un sistema che, al di là del predominio
razzista dei bianchi, presentava – e ahimé!, presenta ancora – molte ingiustizie,
molte disparità.
D. – La libertà, valore ispiratore della vita di Mandela
…
R. – Mandela sapeva che la libertà era stato anche un valore dei boeri,
cioè il gruppo bianco maggiormente responsabile della politica razzista in Sudafrica.
Tant’è vero che nei primi colloqui che ebbe con i dirigenti bianchi sudafricani, prima
della sua liberazione ufficiale, Mandela diceva: “Perché voi boeri, che avete lottato
contro l’imperialismo britannico, non capite che questo stesso principio vale nei
rapporti tra i bianchi e i neri?”.
D. – Professore, il cristianesimo
può in qualche modo avere influenzato il suo impegno per la libertà?
R.
– Sì. D’altra parte, molte Chiese sono state durante l’apartheid dei punti di riferimento
dei movimenti anti-razzisti e naturalmente in questo contesto si è mosso anche Mandela.
D.
– Altro gesto eloquente che dice tanto della statura di Nelson Mandela fu il rifiuto
che egli oppose – da carcerato – all’offerta di libertà condizionata, da parte del
governo, in cambio della rinuncia alla lotta …
R. – Se si può interpretare
politicamente questo gesto di Mandela, è di sfruttare la sua liberazione, che incominciò
ad apparire inevitabile anche per la grande eco mediatica che aveva Mandela all’epoca,
negli anni Novanta, per farne una chiave di volta per la liberazione del Sudafrica.
D.
– Professore, un aspetto che forse apparentemente stride con l’immagine di uomo di
pace, fu l’appello di Nelson Mandela alla lotta armata, pur di annientare l’apartheid
…
R. – Non dimentichiamo che Gandhi ha lavorato a lungo in Sudafrica.
Per molti anni, il Movimento antirazzista si basava sulla non violenza. Quando a Sharpeville
ci fu un massacro dei manifestanti totalmente inermi, si ebbe la prova che la polizia
era stata addestrata per uccidere, non per disperdere la folla. Fu fatta questa scelta
della lotta armata che fu anche applicata, per qualche anno, in territorio Sudafricano;
tendenzialmente, il movimento diceva di non voler colpire i civili, di voler colpire
soltanto obiettivi militari …
D. – Oggi Mandela ha 92 anni ed ha potuto
assistere all’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti. Si può dire che
il suo sogno sia stato realizzato?
R. – Certamente, il riferimento ad
Obama può essere interessante perché la diaspora afro-americana ha avuto un grande
ruolo nella storia africana in generale. Ma il sogno di Mandela sicuramente non riguardava
gli Stati Uniti: riguardava il Sudafrica. Da questo punto di vista, la fine dell’apartheid,
la fine del razzismo, la fine di una società divisa lungo linee razziali e la creazione
di uno Stato unitario, questo obiettivo è stato raggiunto. Nessuno può dire che siano
stati risolti i problemi di ingiustizia. Da questo punto di vista, forse la comunità
internazionale farebbe bene a fare un po’ di autocritica e vedere come un certo sistema
dominante, anche oggi, non tenga molto in considerazione l’elemento universale del
messaggio di Mandela: l’elemento di dominazione o di usurpazione finisce per essere
pagato dai più deboli.