2010-07-26 14:38:43

Il Secam celebra i 40 anni di attività. L’arcivescovo Palmer Buckle: l’Africa ha molto da dare alla Chiesa e al mondo


Si apre domani ad Accra, in Ghana, la 15.ma assemblea plenaria del Secam, il Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar. L’evento festeggia il 40.mo di attività con una settimana di riflessione sul tema “Secam, quarant’anni dopo: autonomia e prospettive per la Chiesa in Africa”. Prendono parte all’incontro circa 200 delegati, tra cardinali, vescovi, presbiteri, religiosi, religiose e laici. L’assemblea sarà aperta dall’arcivescovo di Accra, mons. Gabriel Charles Palmer Buckle, che al microfono di Alessandro Gisotti si sofferma sul tema dell’autosufficienza, scelto dal Secam per il suo quarantennale:RealAudioMP3

R. - Autosufficienza vuol dire che abbiamo da dare: abbiamo ricevuto ed ora abbiamo da dare: ad esempio, abbiamo vocazioni in abbondanza. Dobbiamo, allora, anche noi stendere la mano alla missione della Chiesa universale. E non solo quello, perché possiamo dare anche la nostra spiritualità: tutti sanno che gli africani sono molto religiosi. Questa nostra religiosità, venendo “purificata” dal cristianesimo, porta una spiritualità anche culturale che dovrebbe arricchire la Chiesa cattolica. Quando si parla di autosufficienza significa che prima noi abbiamo ricevuto, che abbiamo avuto da Dio e quindi ora anche noi dobbiamo dare.

D. - Questo chiaramente comporta anche un ragionamento sul rapporto con il resto del mondo: su come, in fondo, anche gli altri popoli soprattutto dei Paesi potenti possono aiutare l’Africa e cosa, invece, non dovrebbero fare, magari ripetendo errori del passato...

R. - Certamente l’Africa non può isolarsi dal resto del mondo. Finora, diciamo per 500 anni, l’Africa ha dato materie prime: ora, però, l’Africa dà non soltanto manodopera, ma va al di là di questo avendo da offrire persone molto ben preparate e questo anche a livello della Chiesa. La prima cosa quindi è che l’Africa sta già dando, ma dovrebbe essere conscia del fatto che ha molto da dare. Seconda cosa: l’Africa vuole essere trattata come un continente maturo e che quindi ci si possa sedere insieme a tutti gli altri continenti intorno ad un tavolo, portando anche noi il nostro contributo per lo sviluppo del mondo. Ma anche quando ci sono cose che non vanno - come ad esempio nel commercio - dobbiamo poter dire che questo o quello non va bene per l’Africa.

D. - Quali sono le sfide pastorali più significative per la Chiesa africana, per gli episcopati nel prossimo futuro?

R. - Dobbiamo costruire dei seminari, dobbiamo costruire delle scuole e delle università cattoliche per la formazione di questi giovani che vengono con delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, ma anche con delle vocazioni alla vita politica, sociale e culturale. Dobbiamo cercare di formare veramente questi giovani, affinché possano offrire - anche loro - il loro apporto allo sviluppo dell’Africa. La seconda sfida è rappresentata certamente dalla riconciliazione: ci sono delle zone dove non vi è pace e, quindi, dobbiamo cercare di fare tutto il possibile per portarla: dobbiamo formare alla riconciliazione, formare alla pace e alla giustizia.







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