Il Secam celebra i 40 anni di attività. L’arcivescovo Palmer Buckle: l’Africa ha
molto da dare alla Chiesa e al mondo
Si apre domani ad Accra, in Ghana, la 15.ma assemblea plenaria del Secam, il Simposio
delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar. L’evento festeggia il 40.mo di
attività con una settimana di riflessione sul tema “Secam, quarant’anni dopo: autonomia
e prospettive per la Chiesa in Africa”. Prendono parte all’incontro circa 200 delegati,
tra cardinali, vescovi, presbiteri, religiosi, religiose e laici. L’assemblea sarà
aperta dall’arcivescovo di Accra, mons.Gabriel Charles Palmer Buckle,
che al microfono di Alessandro Gisotti si sofferma sul tema dell’autosufficienza,
scelto dal Secam per il suo quarantennale:
R. - Autosufficienza
vuol dire che abbiamo da dare: abbiamo ricevuto ed ora abbiamo da dare: ad esempio,
abbiamo vocazioni in abbondanza. Dobbiamo, allora, anche noi stendere la mano alla
missione della Chiesa universale. E non solo quello, perché possiamo dare anche la
nostra spiritualità: tutti sanno che gli africani sono molto religiosi. Questa nostra
religiosità, venendo “purificata” dal cristianesimo, porta una spiritualità anche
culturale che dovrebbe arricchire la Chiesa cattolica. Quando si parla di autosufficienza
significa che prima noi abbiamo ricevuto, che abbiamo avuto da Dio e quindi ora anche
noi dobbiamo dare.
D. - Questo chiaramente comporta anche un ragionamento
sul rapporto con il resto del mondo: su come, in fondo, anche gli altri popoli soprattutto
dei Paesi potenti possono aiutare l’Africa e cosa, invece, non dovrebbero fare, magari
ripetendo errori del passato...
R. - Certamente l’Africa non può isolarsi
dal resto del mondo. Finora, diciamo per 500 anni, l’Africa ha dato materie prime:
ora, però, l’Africa dà non soltanto manodopera, ma va al di là di questo avendo da
offrire persone molto ben preparate e questo anche a livello della Chiesa. La prima
cosa quindi è che l’Africa sta già dando, ma dovrebbe essere conscia del fatto che
ha molto da dare. Seconda cosa: l’Africa vuole essere trattata come un continente
maturo e che quindi ci si possa sedere insieme a tutti gli altri continenti intorno
ad un tavolo, portando anche noi il nostro contributo per lo sviluppo del mondo. Ma
anche quando ci sono cose che non vanno - come ad esempio nel commercio - dobbiamo
poter dire che questo o quello non va bene per l’Africa.
D. - Quali
sono le sfide pastorali più significative per la Chiesa africana, per gli episcopati
nel prossimo futuro?
R. - Dobbiamo costruire dei seminari, dobbiamo
costruire delle scuole e delle università cattoliche per la formazione di questi giovani
che vengono con delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, ma anche con
delle vocazioni alla vita politica, sociale e culturale. Dobbiamo cercare di formare
veramente questi giovani, affinché possano offrire - anche loro - il loro apporto
allo sviluppo dell’Africa. La seconda sfida è rappresentata certamente dalla riconciliazione:
ci sono delle zone dove non vi è pace e, quindi, dobbiamo cercare di fare tutto il
possibile per portarla: dobbiamo formare alla riconciliazione, formare alla pace e
alla giustizia.