Il mondo cattolico italiano chiede un rinnovato impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno
In Italia, una famiglia meridionale su cinque non ha i soldi per andare dal medico
e non si può permettere di pagare il riscaldamento. E’ quanto rivela il rapporto Svimez
sull'economia del Mezzogiorno 2010, pubblicato in questi giorni. Secondo la ricerca,
nel 2008, al 30% delle famiglie del Sud sono mancati i soldi per i vestiti e nel 16,7%
dei casi si sono pagate in ritardo le bollette. Otto famiglie su 100, inoltrem hanno
dovuto rinunciare ad alimentari necessari. Per una riflessione sulla situazione nel
Mezzogiorno, Federico Piana ha intervistato l’economista Alberto Quadrio
Curzio, preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Cattolica di
Milano:
R. – La
questione meridionale è chiaramente molto complessa e io non credo che oggi la cosa
più importante sia recriminare sul passato. Semmai il passato ci può e ci deve insegnare
cosa di meglio possiamo fare nel futuro e sul futuro io vedo tre grandi direttrici
per il Sud.
D. – Quali dovrebbero essere secondo lei
queste direttrici?
R. – Premesso che le risorse finanziarie
sono veramente molto poche nel nostro Paese, il sottofondo di queste direttrici è
comunque ciò che lo Stato deve riportare: la legalità in quelle aree. Questa è una
condizione essenziale per sviluppare le aree stesse. La condizione economica essenziale
è il rilancio delle infrastrutture, ma non tanto le infrastrutture genericamente intese,
ma quelle che possano costituire dei punti di approdo del Mediterraneo perché non
dimentichiamolo: l’Italia è veramente un ponte nel Mediterraneo! La seconda grande
filiera, a mio avviso, rimane quella del turismo. Qualcuno pensa a un turismo genericamente
inteso: il mare, i bagni... No, non è solo questo. Il Mezzogiorno è il più formidabile
giacimento anche di risorse archeologiche, uno dei più grandi del Mediterraneo. La
terza grande direttrice è quella di catalizzare le forze imprenditoriali e a tal fine
si possono trovare degli incentivi. Particolarmente apprezzato da parte mia è quello
della “burocrazia zero”. Non vuol dire “Stato zero”, vuol dire intermediazione politico-burocratica
azzerata. Stato forte, regioni forti, ma non intermediazione burocratica che scoraggi
cittadini e imprese.
D. – Riferendosi alle crisi che
stiamo vivendo si parla spesso di ammortizzatori sociali e indennità. Professore,
a suo parere bastano questi due strumenti per fare ritornare il Sud in carreggiata?
R.
– Io sono un grande sostenitore del principio di sussidiarietà coniugato con la solidarietà
e lo sviluppo. Ebbene, il principio di sussidiarietà ci suggerisce di valorizzare
a pieno quei corpi intermedi, quei soggetti sociali - il primo dei quali è certamente
la famiglia, che è ben di più di un soggetto sociale ma è comunque anche un soggetto
sociale - spostando a mio avviso il finanziamento attraverso questi soggetti sociali
rispetto alla mera attivazione di forme di sussidi erogati dallo Stato. Ecco, io credo
che si debba fare questo, cioè enfatizzare molto di più gli interventi dei corpi intermedi,
naturalmente dando agli stessi gli strumenti adeguati per poter erogare quelli che
sono servizi più vicini alla persona al territorio, a ciò che serve per davvero. Purtroppo,
talvolta, le erogazioni burocratiche ci tranquillizzano la coscienza ma non raggiungono
il fine.
In aumento anche il preoccupante fenomeno delle “nuove povertà”.
Una realtà su cui si sofferma padre Valerio Di Trapani, direttore della Caritas
diocesana di Catania, sempre al microfono di Federico Piana:
R. – Diciamo
che alla povertà tradizionale, cioè fatta di famiglie con basso grado di istruzione,
direi quella tradizionale, di persone che “si arrangiano”, di persone che fanno piccoli
lavori o che sono disoccupati e che quindi vivono in case popolari o in situazioni
anche abitative molto fragili, accanto a queste realtà si stanno affacciando anche
dei professionisti, persone che hanno iniziato dei percorsi lavorativi anche di successo
e che invece oggi si ritrovano in situazioni di grande difficoltà economica.
D.
- I cosiddetti “nuovi poveri”…
R. – I cosiddetti “nuovi
poveri”, cioè persone - che tra l’altro provengono da una situazione in cui erano
loro ad aiutare gli altri, persone che lavoravano anche nella pastorale a livello
diocesano - che oggi si ritrovano in una condizione che non avrebbero mai pensato.
Ci sono tante situazioni: una donna che aveva lasciato il lavoro per occuparsi di
più della famiglia perché il marito comunque aveva un lavoro sicuro presso un’azienda
affermata. Ora si ritrova lei a dover cercare lavoro visto che il marito l’ha perso
perché l’azienda ha chiuso. Quindi, situazioni di grande difficoltà, di grande sofferenza
e direi anche di disperazione.
Sulle cause della perdurante situazione
di difficoltà nel Sud Italia, Luca Collodi ha raccolto la riflessione di mons.
Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra:
R. – Per
me, due sono le cose. La prima mi pare una certa trascuratezza da parte delle autorità
che non hanno la stessa attenzione che hanno verso il Nord. Vi è una differenza di
servizi tra il Nord e il Sud. Secondo, e per me è l’elemento essenziale, è il protagonismo
della gente. Deve svegliarsi, la gente! Deve diventare protagonista! Oltre questo
protagonismo, occorre anche un intervento, un occhio di giustizia. Può chiamarsi giusta
questa Italia divisa in due?
D. – Secondo lei, come
si può rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno? C’è una ricetta?
R.
– Sensibilizzando la gente a non accettare questa forma di passività. Muoversi, far
sentire la propria voce e quindi con loro, la politica; che la politica si svegli
e che, a un bel momento, dica: “Il Mezzogiorno è Italia, e quindi ha i diritti di
tutti gli italiani!”. Vi sono segni di speranza: bisogna farli emergere.(Montaggi
a cura di Maria Brigini)