Tra povertà, immigrazione e deficit sanitari: l'opera umanitaria dell'Ospedale San
Gallicano di Roma
Grande apprezzamento per l'opera svolta dall'Istituto nazionale per la Promozione
della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della Povertà
dell’ospedale San Gallicano, a Roma, è stato espresso dal ministro del Welfare italiano,
Maurizio Sacconi in visita ieri alla struttura. Parlando dei molteplici servizi offerti,
li ha definiti l'eccellenza nel campo socio-sanitario e ha dichiarato l'intenzione
di utilizzarli quali modello per il servizio regionale e nazionale. Luca Attanasio
ha intervistato il primario dell’Istituto, il prof. Aldo Morrone, per alcuni
mesi responsabile anche della task force che ha affiancato il presidio sanitario
presente all’interno del Centro di primo soccorso e assistenza per immigrati di Lampedusa:
R. – L’Istituto
nazionale povertà e salute si occupa di migliorare la qualità della salute delle fasce
più a rischio di marginalità in Italia, siano essi stranieri, siano italiani. In particolare,
si prende cura dei pensionati a reddito minimo, di immigrati regolari e irregolari,
donne vittime della tratta della prostituzione, richiedenti asilo politico, vittime
di tortura, ma anche colf, badanti, zingari, lavoratori precari e situazioni di disoccupazione
e di grave marginalità come le persone senza dimora. Esistono specialisti in varie
branche della medicina, specialisti della psicologia, dell’antropologia, della mediazione
culturale ma anche figure come il semiologo, il biologo o lo psicologo che hanno delle
funzioni importanti nell’accogliere queste persone. E poi ci avvaliamo dell’impegno
di mediatori culturali, che hanno la possibilità di fare in modo che si creino relazioni
anche con persone che parlano le lingue più diverse di questo mondo.
D.
– Una delle prime cose che colpiscono, entrando a visitare il Centro, sono i piccoli
manifesti sparsi dappertutto dove si dice: “Qui non si rimanda indietro nessuno”.
Che significato ha questo in un’Italia in cui si sente parlare spesso di respingimenti,
di denunce…
R. – E’ stato il nostro modo di fare controinformazione.
Quando c’è stata la paura che le persone immigrate irregolari potessero essere denunciate
recandosi dal medico, abbiamo ritenuto importante dare una controinformazione, rassicurando
tutte le persone immigrate che nessun medico avrebbe mai osato tradire il rapporto
di fiducia che si stabilisce tra persona malata e medico stesso, e questo indipendentemente
dalla regolarità del permesso di soggiorno o dal colore della pelle, in modo tale
da ridurre il danno di questi annunci.
D. – Parlando dell’esperienza
di Lampedusa, lei ha detto: “Quando siamo arrivati e abbiamo accolto queste persone
che arrivavano sui barconi, in realtà non si capiva bene se eravamo noi ad indicare
la strada per la salvezza a loro, o se erano loro – in qualche modo – ad indicarci
una strada più alta, più grande di salvezza”…
R. – A Lampedusa, si è
incredibilmente invertita una sensazione: non eravamo noi là ad aiutare le persone
che arrivavano sui barconi, per evitare che morissero, ma erano quelle persone a indicarci
un’altra strada della dignità umana, un’altra strada della generosità nei confronti
delle loro famiglie, loro che hanno accettato di correre il rischio di morire per
mantenere la famiglia, per dare un futuro ai loro figli, un futuro di libertà. E devo
dire che oggi, a distanza di tempo, sono sempre più sicuro che coloro che indicavano
la strada della dignità e del futuro erano proprio quelli che stavano stipati nei
barconi.