2010-07-23 12:53:42

Tra povertà, immigrazione e deficit sanitari: l'opera umanitaria dell'Ospedale San Gallicano di Roma


Grande apprezzamento per l'opera svolta dall'Istituto nazionale per la Promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della Povertà dell’ospedale San Gallicano, a Roma, è stato espresso dal ministro del Welfare italiano, Maurizio Sacconi in visita ieri alla struttura. Parlando dei molteplici servizi offerti, li ha definiti l'eccellenza nel campo socio-sanitario e ha dichiarato l'intenzione di utilizzarli quali modello per il servizio regionale e nazionale. Luca Attanasio ha intervistato il primario dell’Istituto, il prof. Aldo Morrone, per alcuni mesi responsabile anche della task force che ha affiancato il presidio sanitario presente all’interno del Centro di primo soccorso e assistenza per immigrati di Lampedusa:RealAudioMP3

R. – L’Istituto nazionale povertà e salute si occupa di migliorare la qualità della salute delle fasce più a rischio di marginalità in Italia, siano essi stranieri, siano italiani. In particolare, si prende cura dei pensionati a reddito minimo, di immigrati regolari e irregolari, donne vittime della tratta della prostituzione, richiedenti asilo politico, vittime di tortura, ma anche colf, badanti, zingari, lavoratori precari e situazioni di disoccupazione e di grave marginalità come le persone senza dimora. Esistono specialisti in varie branche della medicina, specialisti della psicologia, dell’antropologia, della mediazione culturale ma anche figure come il semiologo, il biologo o lo psicologo che hanno delle funzioni importanti nell’accogliere queste persone. E poi ci avvaliamo dell’impegno di mediatori culturali, che hanno la possibilità di fare in modo che si creino relazioni anche con persone che parlano le lingue più diverse di questo mondo.

D. – Una delle prime cose che colpiscono, entrando a visitare il Centro, sono i piccoli manifesti sparsi dappertutto dove si dice: “Qui non si rimanda indietro nessuno”. Che significato ha questo in un’Italia in cui si sente parlare spesso di respingimenti, di denunce…

R. – E’ stato il nostro modo di fare controinformazione. Quando c’è stata la paura che le persone immigrate irregolari potessero essere denunciate recandosi dal medico, abbiamo ritenuto importante dare una controinformazione, rassicurando tutte le persone immigrate che nessun medico avrebbe mai osato tradire il rapporto di fiducia che si stabilisce tra persona malata e medico stesso, e questo indipendentemente dalla regolarità del permesso di soggiorno o dal colore della pelle, in modo tale da ridurre il danno di questi annunci.

D. – Parlando dell’esperienza di Lampedusa, lei ha detto: “Quando siamo arrivati e abbiamo accolto queste persone che arrivavano sui barconi, in realtà non si capiva bene se eravamo noi ad indicare la strada per la salvezza a loro, o se erano loro – in qualche modo – ad indicarci una strada più alta, più grande di salvezza”…

R. – A Lampedusa, si è incredibilmente invertita una sensazione: non eravamo noi là ad aiutare le persone che arrivavano sui barconi, per evitare che morissero, ma erano quelle persone a indicarci un’altra strada della dignità umana, un’altra strada della generosità nei confronti delle loro famiglie, loro che hanno accettato di correre il rischio di morire per mantenere la famiglia, per dare un futuro ai loro figli, un futuro di libertà. E devo dire che oggi, a distanza di tempo, sono sempre più sicuro che coloro che indicavano la strada della dignità e del futuro erano proprio quelli che stavano stipati nei barconi.







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