Cile: per il Bicentenario i vescovi chiedono al governo un gesto di clemenza
Ieri, nel corso di un’udienza speciale con Sebastián Piñera, Presidente del Cile,
l’arcivescovo di Santiago, cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa e il vescovo
di Rancagua, mons. Alejandro Goic, presidente dell’episcopato, hanno consegnato al
governo e alle due Camere del Parlamento, un documento in cui la Conferenza episcopale
chiede un provvedimento “di indulto per le persone attualmente private della loro
libertà”. I presuli dichiarano di voler seguire la tradizione millenaria del Cristianesimo,
che alla vigilia dei grandi eventi storici, come nel caso del Bicentenario dell’indipendenza,
“invoca gesti di clemenza”. Consapevoli delle polemiche che l’idea ha provocato, e
delle legittime posizioni di tutti gli attori sociali, garantite da uno Stato laico,
i vescovi cileni precisano di non voler riaprire vecchie ferite, ma neanche di volerle
chiudere per decreto. “Vogliamo far presente alle autorità della nazione la realtà
di dolore che vivono le persone private dalla libertà – scrivono - che già sono state
giudicate e hanno anche compiuto buona parte delle loro condanne, e che sono parte
del ‘Tavolo per tutti’ che aspiriamo a fare della nostra patria”. Nel documento, intitolato
“Cile, un tavolo per tutti in occasione del Bicentenario”, i presuli ricordano che,
da un anno a questa parte, sulla questione hanno già trasmesso al governo diverse
riflessioni improntate al profondo senso di clemenza sul quale, Giovanni Paolo II
scrisse: “Come la misericordia di Dio, sempre nuova nelle sue forme, apre nuove possibilità
di crescita nel bene, così celebrare il Giubileo significa adoperarsi per creare occasioni
nuove di riscatto per ogni situazione personale e sociale, anche se apparentemente
pregiudicata”. Nel terzo paragrafo del documento, la Conferenza episcopale, consapevole
di quanto siano delicate e complesse le singole storie delle persone oggi in carcere,
senza entrare in aspetti tecnici, esorta a tenere in considerazione le situazioni
di chi ha già scontato gran parte della pena; dei carcerati che hanno superato i 70
anni; delle donne con uno o più figli minori; dei detenuti colpiti da malattie gravi,
invalidi o in condizioni di salute non compatibili con la reclusione. I vescovi ricordano
anche, ancora una volta, il bisogno di risolvere molti nodi del sistema penitenziario
per rendere le carceri non solo un luogo umano, ma anche un luogo adatto alla riabilitazione
civica, sociale e spirituale. Infine, questo ‘tavolo per tutti’ “non sarebbe completo
se in questa nostra richiesta non fossero considerate le persone che scontano pene
perché colpevoli di reati contro i diritti umani durante il regime militare”. I vescovi
chiedono che questa realtà sia oggetto di approfondite analisi da parte del Parlamento
e dopo aver ricordato che tra queste persone “non tutte hanno avuto il medesimo grado
di responsabilità nei crimini commessi”, concludono: “A nostro avviso non si tratta
di un indulto generalizzato, ma neanche di un rifiuto dell’indulto”, ugualmente generalizzato,
perché si tratta di “ex militari condannati. La riflessione deve saper distinguere,
ad esempio, il grado di responsabilità che ciascuno ha veramente avuto, il grado di
autonomia e libertà con cui ha potuto agire all’epoca dei fatti e i gesti di umanità
avuti, nonché il pentimento espresso per i delitti commessi”. (A cura diLuis
Badilla)