Sovraffollamento e caldo: emergenza carceri in Italia
E’ di nuovo emergenza carceri in Italia. Sovraffollamento e ondata di caldo stanno
rendendo sempre più drammatica la situazione di migliaia di detenuti negli istituti
di pena del Paese. Luca Collodi ne ha parlato con l’avvocato Riccardo Polidoro,
penalista, presidente dell’Associazione “Il carcere possibile Onlus”:
R. – Il problema
è che ci sono 70 mila detenuti a fronte di 44 mila posti tollerabili. Quindi, la situazione
è sicuramente gravissima e bisogna intervenire immediatamente, soprattutto con l’estate.
Vorrei ricordare che la cifra è ben superiore a quella che costrinse il Parlamento
qualche anno fa ad emanare l’indulto. Tenga presente che la nostra associazione è
contraria a provvedimenti di clemenza, perché crediamo che la pena vada scontata e
vada scontata per intero. Però, dev’essere scontata in maniera legale. Le soluzioni,
a mio avviso, non sono l’indulto; sono incidere immediatamente su una depenalizzazione
per consentire ai giudici di occuparsi di processi seri e non di fattispecie che di
penalmente rilevante non hanno assolutamente nulla! Vorrei ricordare che il 50 per
cento dei detenuti sono in custodia cautelare, cioè sono presunti innocenti. Quindi
bisogna intervenire sul processo, bisogna dare più spazio alle misure alternative
al carcere che statisticamente danno una recidiva minore: cioè, è statisticamente
provato che chi sconta la pena in carcere torna a delinquere il 70 per cento delle
volte, mentre per chi la sconta in misura alternativa c’è una percentuale di recidiva
molto più bassa, addirittura intorno al 2-3 per cento.
D. - Voi sicuramente
avete ascoltato tante storie di carcerati. Io le faccio una domanda che potrà essere
banale: come si vive con 35° all’ombra in un carcere?
R. – Eh, io inviterei
tutte le persone che oggi soffrono, dicendo “Che caldo, oggi! Non ce l’ho fatta! Si
soffriva, in ufficio …” e nello stesso tribunale, a pensare, invece, con questo caldo,
12-13 persone nella stessa cella, in spazi angusti, dove c’è una sola finestra, dove
bisogna fare i propri bisogni corporali e si cucina nello stesso posto … E’ una situazione
che definirla da Terzo Mondo è un’offesa per il Terzo Mondo!
Ma quali sono
i diritti dei detenuti? Luca Collodi lo ha chiesto a don Francesco Esposito,
direttore della pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli e cappellano del carcere
di Poggioreale:
R. – Chiaramente,
i diritti dei detenuti sono soprattutto quelli della rieducazione e del reinserimento.
Per la realtà in cui oggi sono la gran parte delle carceri – non solo quello di Poggioreale
– purtroppo più che ‘rieducati’ e ‘reinseriti’ si esce arrabbiati, si esce con un
problema serio: quello di essere entrati colpevoli di reati commessi, per poi uscirne
arrabbiati, vittime purtroppo di situazioni che si è costretti a subire! Perché non
è tanto la mancanza della libertà, quello che pesa, quanto proprio l’impossibilità
di compiere qualsiasi tipo di cammino. D’estate, ad esempio, chiusi nelle celle per
22 ore insieme a 10, 12, 15 persone, in situazioni come quelle di oggi, significa
realmente subire più che una pena, un reato contro la dignità umana. Le nostre carceri
sono carceri anti-umane e di conseguenza carceri anti-cristiane.
D.
– La Chiesa cosa può fare in questa difficile realtà carceraria italiana?
R.
– Credo che l’impegno che noi, come Chiesa, come comunità cristiana, possiamo assumere
è quello di incominciare a pensare a queste realtà di carcere che oggi ci sono, anzitutto
non come isole – anche se, per esempio, il carcere di Poggioreale si trova proprio
nel cuore della città, a stretto contatto con tutta la realtà del territorio, ma chiaramente
ha tutta una vita a sé e la città ne ignora totalmente tutto quello che accade al
suo interno, se non per quanto riguarda i familiari che sono costretti, a loro volta,
a pagare delle pene insieme con i detenuti. Questa realtà di pena, in realtà, è una
realtà che pagano anche tanti altri innocenti, che sono i figli, le mogli, costretti
a fare lunghe file già dalla notte per avere un colloquio di un’ora con un proprio
familiare, oltretutto in condizioni veramente disumane.
D. – Don Francesco,
la società chiede la certezza della pena: come si può coniugare questo con il rispetto
dei diritti del carcerato?
R. – Io credo che sia proprio il rispetto
di questa esigenza della società, che non è tanto la certezza della pena quanto la
certezza della sicurezza: è questo che bisogna che chi governa deve chiedersi! Cioè:
questo carcere risponde alla domanda di sicurezza della società? E la risposta è chiaramente
“no!”.
“Ero carcerato e mi avete visitato”, questo il monito di Gesù. Ma
come rapportarsi con i detenuti? Sempre al microfono di Luca Collodi, ascoltiamo il
cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze, sempre attento
alla situazione dei carcerati:
R. – Una
capacità di collocarsi di fronte a queste persone non come di fronte a dei numeri,
ma come ad esseri umani, quali sono. A me sembra che risvegliare anche in loro, nei
carcerati, e anche nei carcerati più duri, una speranza perché c’è qualcuno che vuol
loro bene, perché c’è qualcuno che ha un po’ di fiducia in loro, questo mi sembra
fondamentale. E questo lo può fare la Chiesa, appunto, perché lo fa nel nome del Signore,
lo fa con il Codice del Vangelo. Quando c’è questo, il resto viene di conseguenza…
D.
– C’è la possibilità di ripensare, anche secondo la sua esperienza pastorale, il carcere?
R.
– Io penso di sì! Accentuando maggiormente quell’aspetto necessario per il carcere,
da un punto di vista umano e cristiano, che è il recupero. In carcere si sta, sì,
perché in questa maniera si difende la società dalla violenza, ma in carcere si sta
anche perché la persona deve essere recuperata. E io credo che questo impegno dovrebbe
essere maggiormente accentuato affinché il carcere sia proprio un luogo di recupero:
quindi lavoro, scuola, sport … quante cose ci possono essere perché la situazione
in carcere possa andare meglio! (Montaggi a cura di Maria Brigini)