La situazione degli africani in Italia delineata nell'ultimo Rapporto di Caritas Migrantes
Sono un milione gli africani che vivono in Italia, soprattutto nel nord del Paese.
La metà ha un rapporto di lavoro dipendente e circa 61 mila sono titolari di imprese.
Questi alcuni dei dati contenuti in “Africa-Italia: scenari migratori”, l’ultimo dossier
di Caritas Migrantes, presentato ieri a Roma. Il rapporto, redatto sulla scia del
sinodo dei vescovi africani dell’anno scorso, evidenzia la diminuzione dell’emigrazione
clandestina ricordando che gli africani continuano a spostarsi maggiormente all’interno
del continente. Il flusso verso l’Europa, però, non si arresta anzi è destinato a
raddoppiare fino al 2050. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Maria Paola
Nanni, della redazione centrale del Dossier statistico immigrazione:
R. – Tra
i Paesi europei, si prevede che l’Italia sia anche uno dei maggiori recettori, se
vogliamo usare questo termine, di queste migrazioni, perché esse rispondono a delle
esigenze interne alla società italiana, che attraversa un trend di invecchiamento
molto accentuato. Per cui, c’è bisogno di nuovi innesti anche lavorativi, volendo
ragionare in termini utilitaristici. E’ una presenza che può arrivare, che può contribuire
alla nostra crescita. Il contributo dei migranti africani all’estero è sostanziale
per la crescita dell’Africa. I migranti africani oggi inviano 40 miliardi di euro
l’anno, sostanzialmente, ai loro Paesi di origine.
D. – Gli africani
però continuano a spostarsi soprattutto all’interno del continente...
R.
– Le migrazioni interne africane, che sono superiori a quelle che interessnao l’esterno,
sono spesso, almeno nelle intenzioni del migrante, una tappa intermedia di un viaggio
che si vorrebbe poi continuare, andando oltre. Si bloccano spesso i flussi anche da
parte dei Paesi di partenza. Viene in mente, per esempio, come l’Algeria oggi consideri
l’immigrazione irregolare un reato, un reato penale che può portare fino a sei mesi
di reclusione. Quindi, ci sono anche dei forti controlli da parte degli Stati del
Maghreb, che possono rendere particolarmente pericolose quelle traversate che si vogliono
rendere regolari.
D. – Sicuramente, anche l’accordo fra l’Italia e la
Libia va in questa direzione. Ma che cosa è cambiato qualitativamente?
R.
– Qualitativamente è cambiato molto poco. Anche se tengo a sottolineare il fatto che
sia un fenomeno relativo, estremamente poco importante, anche sul piano statistico,
rispetto a flussi che invece si muovono regolarmente, al di là poi dell’importanza
mediatica che quel fenomeno ha assunto. I flussi, in realtà, sono stati bloccati perché
sono impedite le partenze. Nel caso specifico della Libia, non sono mutate le condizioni
che spingono le persone ad andarsene, soprattutto perché in quel caso si tratta per
lo più di persone in fuga da condizioni di instabilità, di pericolo, di conflitto:
persone quindi che in Europa chiameremo richiedenti asilo, persone meritevoli di protezione
internazionale.