Donne vittime degli ex: l'ondata di omicidi in Italia al vaglio del prof. Andreoli
e del prof. Risé
Nelle ultime settimane in Italia sono stati 14 gli omicidi che hanno visto vittime
donne uccise da ex mariti o da ex fidanzati. Un fenomeno in crescita che suscita allarme
e pone diversi interrogativi. Motivo delle violenze, la decisione delle donne di rompere
la relazione instaurata con il proprio partner. Molte le letture di questi gesti:
la più comune è un’accentuata fragilità dell’uomo, che non sopporta l’idea di perdere
qualcosa che sente di possedere e a cui si è aggrappato. Ma c’è anche un livello culturale
e sociale sul quale riflette lo psichiatra, Vittorino Andreoli, al microfono
di Adriana Masotti: R. – Questa
società che noi chiamiamo ultra-civile, ultra-tecnologica, in realtà sta regredendo,
perché è una società che non dà importanza alla cultura, che ha dimenticato i principi,
e quindi non c’è più nemmeno il principio del rispetto umano. E’ chiaro che la cultura
è una forza importante per frenare tutte le pulsioni, l’istintualità, la nostra –
chiamiamola pure – biologia. E forse va anche detto che in questo senso la religione
vissuta, il sentirsi cioè parte di un mondo con un tutto un senso di grande solidarietà
e di amore, riusciva a porre un freno. Forse, la perdita della cultura e comunque
una minore affezione a quello che era il rapporto con il cielo, ha liberato qualcosa
di primordiale. E’ vero che rispetto al passato noi siamo degli uomini del 21.mo secolo:
ma dal punto di vista umano e affettivo siamo dei primitivi e il rischio è di usare
la violenza, la forza per poter raggiungere semplicemente ciò di cui uno ha bisogno. D.
– Ultimamente, in Italia, si sta discutendo molto sull’immagine della donna nelle
pubblicità, in televisione, nei mass media e sembra che la donna appaia di nuovo vista
solo come oggetto di godimento, un fattore estetico. Quanto incide anche questo modo
di vedere la donna sulla violenza esercitata spesso dall'uomo su di lei?
R.
– E’ importantissimo, perché anche questa è una percezione culturale. Quindi, se la
donna si riduce ad oggetto, è chiaro che se non rispetta le esigenze del proprio compagno
o marito, diventa un oggetto da rompere. Si tenga poi presente che in questa società
nessuno più medita sulla morte. Mancando anche questa percezione, ci si sente potenti
ed uccidere diventa un fatto banale.
D. – La donna sembra un po’ condannata
a due ruoli estremi: oggetto di piacere e, dall’altra parte, colei che sa sacrificarsi
e che si sacrifica anche per l’uomo. Ma perché è ancora tanto difficile considerare
la donna una persona che sta a fianco dell’uomo, su un livello di parità, per costruire
insieme la società?
R. – Questo credo sia a causa di due errori. Il
primo: continuare a considerare la donna un’appendice dell’uomo. Il secondo errore
consiste nella non esistenza, da parte delle donne, di una convinzione forte per difendere
quelli che sono i diritti di autonomia. Bisogna soprattutto considerare il valore
della relazione tra l’uomo e la donna, perché è solo nella relazione, nello stare
insieme, nell’amarsi e nell’aiutarsi che nasce poi il rispetto. Oggi, invece, il mettersi
insieme - sovente sia da parte della donna che da parte dell’uomo - è semplicemente
prendere un'occasione, forse non propriamente come quella di scegliere di andare in
un ristorante o fare un viaggio, ma che certamente non ha quella preparazione, né
quel senso profondo che invece un legame tra una donna e un uomo meriterebbe. Su
questo stesso tema, Fabio Colagrande ha sentito il prof. Claudio Risé,
psicoterapeuta, giornalista, scrittore e docente universitario, che offre una lettura
del fenomeno in chiave più prettamente medico-psicologica: R. - Io vedo
la crisi complessiva dell’identità maschile - che contrassegna in qualche modo gli
ultimi decenni e non soltanto italiani, ma un po’ di tutto l’Occidente - caratterizzata
dall’assenza della figura paterna o dalla presenza di padri poco consapevoli di quello
che devono fare. Cosa c’entra questo con la strage di questi mesi? C’entra nel senso
che non basta nascere di sesso maschile per essere uomini: se la persona non viene
separata da un padre presente e consapevole della sua funzione dalla simbiosi con
la madre, dalla quale nasce, questi maschi rimangono dipendenti da una figura femminile
dalla quale non sanno staccarsi e senza la quale - come molti di loro hanno detto
nei loro deliranti messaggi di addio - non sanno vivere. Non si costituisce quindi
un soggetto separato, capace di affrontare la vita. Ciò genera dei fenomeni di violenta
dipendenza verso delle donne sulle quali viene trasferita l’originaria dipendenza
dalla madre, che non è mai stata interrotta da un padre consapevole e presente. In
più, il fenomeno dei divorzi e delle separazioni non ha fatto altro che aggravare
naturalmente queste manifestazioni, separando ancora di più i figli dai padri.
D.
- Dunque, professor Risé, secondo la sua analisi dietro questi delitti passionali
c’è davvero un problema legato ad un modello educativo e a una idea di famiglia che
forse vanno ricreati…
R. - Assolutamente sì. Va completamente rivista
la banalizzazione di tutti i discorsi sulla famiglia fatti negli ultimi anni e quindi
l’equivalenza del ruolo genitoriale. Discorsi che affermano che padre e madre sono
la stessa cosa, o il genitore unico va benissimo, perché tanto di questo padre in
fondo non c’è neanche tanto bisogno. Ecco qua poi i risultati. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)