2010-07-16 15:17:29

Presentato a Roma “Il diario di Bobby Sands. Storia di un ragazzo irlandese”


A pochi giorni dai disordini che hanno riportato Belfast nelle cronache giornalistiche, è stato presentato ieri a Roma il libro di Silvia Calamati intitolato “Il diario di Bobby Sands. Storia di un ragazzo irlandese”, pubblicato da Castelvecchi Editore. Bobby Sands, detenuto per quattro anni nel carcere di Long kesh, vi morì nel 1981 a soli 27 anni, dopo 66 giorni di sciopero della fame. E’ divenuto il simbolo della lotta per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord. Fausta Speranza ha intervistato l’autrice Silvia Calamati:RealAudioMP3  
R. – Questi ragazzi vanno tutti sotto i 30 anni, per cui alcuni hanno anche 16, 17 anni. Vivere in condizioni disumane, trattati come animali, nudi con solo una coperta per coprirsi, con pestaggi e maltrattamenti quotidiani, è stato veramente un inferno. Non è un caso che persone che hanno fatto questa esperienza e che adesso ormai cominciano ad avere più di 50 anni, stanno morendo prematuramente, proprio perché il fisico ha avuto uno shock. E’ stata un’esperienza così incredibile, quasi un campo di concentramento. E una delle cose che trovo molto difficile da capire è perché ci sia stata la decisione del governo britannico di abbattere questo luogo che, da un certo punto di vista, dovrebbe essere lasciato ai posteri non come condanna, ma per ricordare. Non si può abbattere Mauthausen, non si può abbattere il campo di concentramento di Auschwitz, serve per le nuove generazioni, perché è una dimensione in cui sono avvenute delle cose terribili, ma che permette loro di capire che queste cose non si devono ripetere. Se noi cancelliamo questi segni del tempo, segni della storia, non rendiamo giustizia anche a coloro che così tanto hanno sofferto all’interno delle mura del carcere di Long Kesh.

D. – Che cosa è successo nell’Irlanda del Nord dagli accordi di pace del Venerdì Santo di 12 anni fa?

R. – Tantissime cose sono cambiate: non abbiamo più i soldati per le strade, la gente ha girato pagina, da un certo punto di vista, nel considerare la guerra una cosa che non può più tornare. Sicuramente la società è tanto cambiata in questi 12 anni, però io non mi sento ancora di dire che ci sia pace in Irlanda del Nord. Pace per me vuol dire giustizia, pace vuol dire fare i conti con il passato, non avere la paura di portare i responsabili che hanno commesso uccisioni, che hanno commesso maltrattamenti, che hanno represso la popolazione davanti alla giustizia. Pace per me vuol dire creare una società diversa. Ricordo che dalla firma dell’accordo del Venerdì Santo si sono acuiti moltissimo dei problemi sociali. La piccola criminalità è aumentata. Nel luglio dell’anno scorso, in un solo mese, ci sono stati 30 suicidi. I suicidi tra i giovani, soprattutto i giovanissimi, stanno diventando proprio un fenomeno endemico e l’assenza di guerra - anche se ci sono, come è stato dimostrato da recentissimi avvenimenti, casi di violenza in questi giorni - non vuol dire automaticamente la creazione di una società nuova. Una società nuova vuol dire creare delle strutture, delle istituzioni, dare un futuro ai giovani, insegnare che democrazia vuol dire partecipazione alla politica, vuol dire la possibilità di vivere una società normale, soprattutto dare delle opportunità, opportunità lavorative, ad entrambe le comunità - ricordo che le comunità, nazionalista e cattolica, sono ancora discriminate, nell’assegnazione dei lavori, anche se non come ai tempi del conflitto – soprattutto una società in cui le persone si sentano parte di uno Stato che le rappresenta. Questo non è ancora avvenuto nell’Irlanda del Nord. E questa è la grossa sfida che il governo britannico si trova ad affrontare nei prossimi anni. 
Il libro è stato presentato ieri pomeriggio nella sede di Roma del Parlamento Europeo alla presenza della vicepresidente Roberta Angelli. Fausta Speranza le ha chiesto il significato di questa scelta:RealAudioMP3  
R. – Perché questo libro parla della storia di un ragazzo che si è lasciato morire di fame, pur di difendere i diritti umani fondamentali. Il suo esempio poi fu seguito da altri ragazzi. Parliamo di ragazzi giovanissimi, che erano animati da un forte senso della nazione, da un forte senso dell’identità nazionale, da un forte senso di mettersi a disposizione proprio del popolo, del loro popolo. Quindi, io credo che questo pezzo della storia europea non debba essere dimenticato e anzi debba ancora far parte della memoria collettiva, soprattutto delle giovani generazioni. Perché c’è stato tanto sacrificio e questi ragazzi, dobbiamo ricordarlo, erano cattolici e ghettizzati in quanto cattolici. Quindi, era una ghettizzazione, un’esclusione anche sociale, anche scolastica, ma che partiva dal fatto che la loro prima colpa era quella di essere cattolici.

D. – La discriminazione, dunque, è al centro di queste storie, e oggi può insegnare molto, perché ancora oggi c’è discriminazione: anche nei Paesi europei?

R. – C’è discriminazione anche nei Paesi europei. E nei confronti dei cristiani, dei cattolici, c’è ancora una forte discriminazione nel mondo. Ci sono ancora delle persecuzioni in molti Stati e in molte regioni del mondo e quindi mantenere la memoria su questi temi e mantenere alta la vigilanza proprio sulla tutela dei diritti umani e la libertà anche di professare la propria fede religiosa, credo sia un impegno che in Europa debba, possa essere una priorità.







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