Ieri sera tra i tifosi che assistevano alla finale dei mondiali in due locali pubblici
di Kampala, in Uganda, un doppio attentato ha fatto strage: almeno 64 i morti, tra
cui un americano, e una sessantina di feriti. Le esplosioni, avvenute all’interno
di un ristorante etiope e nel bar di un club di rugby della città sono l’attacco più
grave nell’Africa dell’Est dal 1998. Potrebbe trattarsi dell’azione di due kamikaze,
ma anche di due bombe posizionate sotto i sedili dei locali, mentre i sospetti della
polizia ugandese si concentrano sulle recenti minacce degli Shabaab, gruppo integralista
somalo. Il governo ugandese ha condannato l’accaduto così come l’intera comunità internazionale.
Immediato l’aiuto offerto al governo dagli Stati Uniti. Cosa c’è dunque alle spalle
di questo duplice attacco che, comunque, ha offuscato il clima di festa che si stava
vivendo nel mondo intero? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Domenico Quirico
africanista de La Stampa:
R. - L’universo
molto opaco del fondamentalismo islamico aveva dichiarato guerra ai Mondiali di Calcio
e, purtroppo, l’ha condotta con grande determinazione. Non sono i primi e gli unici
morti uccisi mentre guardavano una partita. In Somalia, ci sono state addirittura
delle esecuzioni per quello che viene considerato sostanzialmente un reato. Direi
che le piste abbastanza evidentemente riportano alla Somalia, al Corno d’Africa, agli
Shabaab, fondamentalisti ribelli di Mogadiscio, che hanno come primo obiettivo quello
di cacciare dal Paese la forza di pace, gestita soprattutto dall’Uganda e dal Burundi.
Il messaggio è neanche troppo trasversale: "noi dobbiamo liquidare i conti con questo
governo", debolissimo.
D. - La prossima settimana,
proprio a Kampala, ci sarà un summit dell’Unione Africana e si discute di un rinforzo
delle truppe proprio in Somalia. Credi che ci saranno effetti su questo?
R.
- Il discorso sul ruolo internazionale in Somalia è un discorso molto delicato, molto
complesso e temo anche piuttosto spiacevole, nel senso che - non nascondiamoci dietro
la solita retorica - i Paesi che contano hanno deciso che della Somalia non vogliono
più sentir parlare, perché hanno avuto delle esperienze spiacevoli e non ritengono
che sia un Paese particolarmente fondamentale. Stiamo nell’ambito - come dire - dell’attività
di pacificazione di serie B, se non di serie C. E’ inutile che continuiamo a mettere
i puntini sulle “i”, sugli ugandesi e burundesi nelle riunioni dei Paesi dell’area:
non sono questi Paesi che devono dare una risposta. I fondamentalisti somali stanno
conquistando il Paese e certamente non bastano i contingenti africani per fermarli.
D.
- L’attaccare l’Uganda, l’uscire fuori dai confini somali può segnare una svolta nella
strategia di attacco delle truppe estremiste islamiche?
R.
- Direi di sì. Attenzione, perché è stato proprio in Africa che è stata annunciata
la grande offensiva di al Qaeda con gli attentanti in Tanzania e in Kenya. Questo
è l’attentato più sanguinoso dopo quelli di Salaam e di Nairobi. Forse non è vero
che ci sia questa specie di grande organizzazione, che si muove in modo spettacolare
e disinvolto in tutti i continenti, però è certamente in grado di fare danni e di
colpire dove vuole. Questo è un elemento fondamentale e l’Africa probabilmente è un
nuovo fronte di questa battaglia, lo è sempre stato, ma forse adesso ancora di più.