Oggi, Domenica del mare, Giornata di preghiera per oltre un milione e mezzo di marittimi
Oggi la Chiesa celebra la “Domenica del Mare”, una giornata dedicata alla preghiera
per i lavoratori marittimi, per le loro famiglie e per coloro che li assistono. Nell’occasione,
il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha pubblicato
un messaggio che ricorda come il 2010 sia stato proclamato dall’Organizzazione Marittima
Internazionale “Anno del Marittimo” proprio per sensibilizzare la comunità internazionale
sulle condizioni lavorative di circa un milione e mezzo di lavoratori del mare. Il
presidente di questo dicastero, l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, ricorda
al microfono di Fabio Colagrande il significato di questa ricorrenza.
R. - La
“Domenica del Mare” è una tradizione iniziata in Inghilterra nel 1975 quando l’Apostolato
del Mare (della Chiesa Cattolica), la “Mission to Seafarers” (Anglicana) e la “Sailors’
Society” (Free Church) decisero che ci dovesse essere un giorno nel calendario delle
Chiese per ricordare i marittimi, pregare per le loro famiglie e per coloro che li
assistono. Da allora la celebrazione, allargatasi fino a diventare internazionale,
si celebra abitualmente la seconda domenica di luglio, e con essa si riconosce l’importante
contributo lavorativo dei marittimi all’economia di tutti i Paesi del mondo. Questa
ricorrenza ha anche un’importanza ecumenica perché in molti porti le celebrazioni
e le diverse attività di sensibilizzazione riguardo la situazione umano-lavorativa
dei marittimi vengono fatte congiuntamente con altre denominazioni cristiane, dando
testimonianza così di unità di intenti e cooperazione nel tutelare i diritti di queste
persone.
D. - Quali sono i temi affrontati quest’anno nel messaggio
del Pontificio Consiglio per la “Domenica del Mare”?
R. - Sono due.
Il primo riguarda il 90mo anniversario di fondazione dell’Apostolato del mare, iniziato
a Glasgow il 4 ottobre 1920 ad opera di un piccolo gruppo di laici e sacerdoti che
volevano porre rimedio alla situazione di abbandono in cui versavano i marittimi cattolici
di quel tempo. Attraverso gli anni quest’opera è cresciuta e con il contributo di
tanti cappellani e volontari svolge un lavoro prezioso di assistenza materiale e spirituale
ai marittimi di ogni nazionalità e credo religioso, con visite a bordo e accoglienza
nei Centri Stella Maris. Quest’anno non celebriamo solo un anniversario, ma vogliamo
ritrovare lo spirito originale e l’entusiasmo che ha guidato i fondatori. Il secondo
tema si riferisce proprio al 2010 che l’Organizzazione Marittima Internazionale ha
proclamato “Anno del Marittimo”, per dare alla comunità internazionale l’occasione
di prendere maggiormente coscienza dell’importanza del lavoro svolto da un milione
e mezzo di marittimi, ma anche dei rischi connessi con la loro professione.
D.
- Potrebbe accennare ai principali problemi che i marittimi devono affrontare?
R.
- Vale ricordare la pirateria in generale, ma specialmente nel golfo di Aden, un problema
emergente. A tutt’oggi ci sono circa 20 navi sequestrate con un totale di oltre 400
membri di equipaggio. I marittimi e le loro famiglie pagano a questo riguardo un alto
prezzo quanto a stress psicologico, che a lungo termine può avere conseguenze traumatiche.
L’Apostolato del mare e altre organizzazioni cristiane si preoccupano del loro benessere
dopo il rilascio da parte dei pirati. Inoltre esiste il problema delle navi battenti
bandiera ombra, registrate in Stati che non esercitano alcun controllo sulla loro
sicurezza e sulle condizioni di vita e lavoro dell’equipaggio, per lo più proveniente
da Paesi in via di sviluppo e che, per paura di perdere il posto, soffre in silenzio
sfruttamento e abusi. Un altro fenomeno in ascesa è la criminalizzazione dei marittimi,
causata dall’incremento degli incidenti, in cui prevale il fattore umano. I marittimi
vengono colpevolizzati e criminalizzati e usati come capro espiatorio dai loro datori
di lavoro. Infine, la crisi economica ha accentuato un problema scandaloso e ricorrente
nel panorama del mondo marittimo, cioè l’abbandono delle navi e del loro equipaggio
da parte dell’armatore. In questi casi è molto spesso l’Apostolato del mare ad intervenire
ed agire come forza catalizzatrice per risolvere questo problema che richiede l’intervento
della Capitaneria di porto, della polizia di frontiera e di altri organismi statali.
A questo riguardo, nei mesi scorsi sia l’Apostolato del Mare spagnolo che quello italiano
hanno presentato un dossier in cui si affrontano i diversi aspetti di questo fenomeno
nei rispettivi Paesi.
D. - Quali sono le priorità in cui l’Apostolato
del mare si deve impegnare nel futuro?
R. - Provvedere alla cura pastorale
dei marittimi e dei pescatori attraverso la visita alle navi rimane certamente la
nostra priorità, insieme con lo sforzo di sollecitare la sensibilità delle Conferenze
episcopali e coinvolgere maggiormente le Chiese locali nella cura pastorale della
gente di mare e delle loro famiglie. In questi ultimi anni il varo di navi da crociera
sempre più grandi e capienti, che possono arrivare ad ospitare duemila o tremila passeggeri
e almeno mille o millecinquecento membri di equipaggio, ha evidenziato la necessità
della presenza di cappellani di bordo, cioè sacerdoti che, imbarcandosi, diventano
marittimi con i marittimi e sono così presenza viva della Chiesa. Infine, sarebbe
auspicabile che in questo anno dedicato al marittimo si arrivasse alla ratifica, da
parte degli Stati membri dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, della Convenzione
2006 sul lavoro dei marittimi, che porterebbe maggiore protezione e benefici a questa
categoria di lavoratori che provvedono ogni giorno ai bisogni quotidiani della nostra
umanità, ma che in realtà sono spesso dimenticati e ignorati.