Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 15.ma Domenica del Tempo Ordinario la Liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui un dottore della Legge chiede a Gesù cosa debba fare per ereditare
la vita eterna. Il Signore gli espone una parabola sull’amore di Dio e del prossimo.
Un uomo giace per strada, aggredito dai briganti. Un sacerdote e un levita lo incontrano,
ma passano oltre. Gesù prosegue:
“Invece un Samaritano, che era in viaggio,
passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le
ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un
albergo e si prese cura di lui”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo
il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale
alla Pontificia Università Gregoriana: Una cascata
di verbi, espressi come al rallentatore, per descrivere la sofferenza del malcapitato
e poi la compassione del samaritano. Per il primo: “Cadde nelle mani dei briganti,
che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo
mezzo morto”. Per il secondo: “Vide e ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli
fasciò le ferite, lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo, si prese
cura di lui...”. Secchi invece, come schiocco di frusta, i due verbi per dire l‘indifferenza
del sacerdote e del levita: “Vide, passò oltre”. Ecco come trovare il proprio prossimo:
riconoscendo la sua sofferenza in dettaglio, perché è una persona che soffre e non
semplicemente un “malcapitato”; o attivando gesti di compassione pieni di tenerezza
non affrettata né infastidita. Al di là di ogni appartenenza e apparenza. La discussione
sul “prossimo” fra i rabbini era un classico tema. Gesù rovescia i termini: A chi
tu puoi mostrarti “prossimo”? Sei prossimo quando sai riconoscere la sofferenza in
dettaglio e ti avvicini con l’amore ricco di premure. Non è un problema teorico da
discutere, ma di rapporti da vivere, di sofferenza abbracciata con solidarietà.