Accordo raggiunto sulla questione dei rifugiati eritrei in Libia
E' stato raggiunto un accordo, ieri a Tripoli, sulla drammatica vicenda dei circa
250 rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere libico di Brak. L’intesa prevede la liberazione
e la residenza in Libia degli eritrei in cambio di “lavoro socialmente utile”. Tripoli,
intanto, nega le accuse di maltrattamenti contro i rifugiati. Il servizio di Francesca
Sabatinelli: Sarà impiegata
nei lavori socialmente utili quella parte dei 250 rifugiati eritrei che sarà in condizione
di farlo. Visto che tra loro si parla anche di molti minori. Per il momento sembrano
non correre più il rischio di essere rispediti nel loro Paese, dove per molti di loro
non ci sarebbe stato scampo. Cosa ne sarebbe stato di loro se fossero stati rimpatriati?
Padre Ambroise Tiné è il presidente di Caritas Senegal, il suo
Paese è dall’altra parte dell’Africa rispetto all’Eritrea, ma a parlare è la sua esperienza
di sostegno ai rifugiati: “La situazione in Eritrea è difficile; tutta
la gente cerca di fuggire verso l’Etiopia, l’Italia, la Libia, l’Egitto. Se vengono
presi, vengono mandati in prigione; se riescono invece a scappare ci sono le famiglie
che restano che sono in pericolo. Penso che per il rispetto dei diritti umani e tutto
quello in cui noi crediamo come cristiani non possiamo permetterci di accettare che
queste persone, sia in Italia, in Egitto o in Libia, vengano nuovamente rimandate
in Eritrea”. Nella settimana di detenzione nel centro di Brak, nel deserto
libico, queste persone hanno denunciato di aver subito maltrattamenti e torture. Secondo
le autorità libiche si starebbe ora completando la raccolta dei dati personali per
poi affidare queste persone a diverse Shabie, sorta di prefetture, che dovranno avviarle
al lavoro. Sulla vicenda Fabio Colagrande ha chiesto un commento a
Christopher Hein, direttore del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati: R. – Davvero
c’è una possibilità ora che queste persone finalmente possano uscire dall’inferno
del centro di Brak, nel sud della Libia: certamente ne siamo molto felici. Però, non
conoscendo i dettagli di questo accordo, ci preoccupa innanzitutto una cosa: l’identificazione
delle persone e la trasmissione dei loro dati alle autorità eritree del Paese di appartenenza.
Conoscendo la situazione in Eritrea e le storie di rappresaglie contro i familiari
di persone che sono andate via illegalmente dall’Eritrea, se questi dati vengono trasmessi
all’ambasciata eritrea di Tripoli ai fini del rilascio di un documento di identità,
come condizione del “lavoro socialmente utile” in Libia, questo ci preoccupa assai.
Vorrei precisare una cosa sulla dicitura “lavoro socialmente utile”: abbiamo cercato
di capirlo un po’ meglio. Si tratta di lavori certamente umili, non in situazione
di libertà, presso i vari comuni, in Libia. Comunque, non c’è alcun riconoscimento
per loro come rifugiati e questo naturalmente contribuisce ad una tutela molto debole,
molto incerta. Magari vengono rilasciati adesso e poi, tra due settimane c’è una retata
e si trovano di nuovo dentro, ma questa volta con la dichiarazione di aver illegalmente
lasciato il proprio Paese. Per noi, rimane in piedi che la vera soluzione è un trasferimento
o un re-insediamento in Italia e magari in altri Paesi europei. Proprio questa mattina
abbiamo saputo dai nostri colleghi in Germania che si sono già rivolti anche al Ministero
degli interni di Berlino per vedere se una quota sia pur piccola possa essere accolta
dalla Germania.
D. – Quindi, lei ricorda che il governo di Tripoli non
riconosce lo status di rifugiato politico: questo è un dato da sottolineare …
R.
– Questo è il nodo di fondo; anche il Trattato di amicizia tra Italia e Libia non
menziona in assoluto il diritto di asilo e la presenza di rifugiati. Questa è una
mancanza, perché non si tratta di migranti che possono entrare ed uscire liberamente
dalle loro ambasciate, dai loro Paesi, andare in vacanza ad Asmara e ritornare. Non
sono migranti: sono rifugiati! Non possono ritornare nel loro Paese e non possono
avere contatti con il proprio consolato.
D. – Il governo di Tripoli,
però, ha smentito che i profughi eritrei e somali siano stati sottoposti a un trattamento
disumano nelle carceri nel sud del Paese …
R. – Nessuna istanza indipendente
nazionale o internazionale è stata nel centro di Brak, e quindi le informazioni che
abbiamo sono informazioni avute direttamente da molti degli eritrei detenuti. E quindi,
non abbiamo assolutamente motivo per dubitare, perché non sono persone che si svegliano
per fare dichiarazioni false sul trattamento ricevuto …