La Turchia minaccia di rompere le relazioni con Israele
Si accentua la crisi tra Israele e Turchia provocata dal blitz contro la flottiglia
di attivisti pro Gaza, che il 31 maggio costò la vita a nove cittadini turchi. Mentre
lo Stato ebraico - dopo le pressioni internazionali - ha annunciato di aver preparato
la lista delle merci il cui ingresso, per motivi di sicurezza, non sarà ancora consentito
nella Striscia di Gaza, il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, ha annunciato
che il governo del premier Tayyip Erdogan romperà le relazioni in caso di mancate
scuse da parte dello Stato ebraico, dando comunque il via libera alla chiusura degli
spazi aerei turchi per i voli militari israeliani. Il premier israeliano Benjamin
Netanyahu, in un comunicato, ha fatto sapere di non cambiare la propria linea. Sulle
dichiarazioni della Turchia, ascoltiamo il prof. Michelguglielmo Torri, esperto
di questioni mediorientali dell’Università di Torino, intervistato da Giada Aquilino: R. – E’ un’iniziativa
che si pone in una nuova politica che ormai la Turchia sta intraprendendo da alcuni
anni: è una politica caratterizzata dalla sempre maggiore attenzione ai Paesi arabi
dell’area mediorientale e nei confronti dell’Iran. C’è stata negli ultimi anni una
presa di distanza dalle posizioni filoisraeliane e appunto l’emergere di questa nuova
linea, che alcuni definiscono politica "neo-ottomana". Si tratta di una svolta importante,
perché i rapporti tra Turchia e Paesi arabi, negli ultimi decenni, non sono stati
particolarmente caldi, mentre si era sviluppato un rapporto molto forte tra la Turchia
e lo Stato di Israele. Quello che sta avvenendo ora è una svolta, perché Israele perde
il suo alleato più importante nell’area mediorientale.
D. – Quale potrebbe
essere allora la linea di Israele, a questo punto?
R. – Israele sta
su questa strada, perché è incapace di rinunciare al piano di progressiva colonizzazione
della Cisgiordania e di eliminazione di ogni resistenza politica da parte del popolo
palestinese. Del resto, la politica d’Israele continua a basarsi essenzialmente sull’assoluto
predominio militare nei confronti degli Stati vicini ed è una politica che si basa
ed è resa possibile dall’appoggio che viene soprattutto dagli Stati Uniti d’America.
E’ vero che l’attuale presidente è su posizioni più distaccate riguardo allo Stato
d’Israele, rispetto alla gran parte dei presidenti precedenti; ma si è capito, in
questo periodo in cui Obama è stato al potere, che sembra non avere la forza politica
per affrontare le lobby filoisraeliane presenti negli Stati Uniti.
D.
– Proprio nelle prossime ore ci sarà l’incontro tra Obama e Netanyahu,
alla Casa Bianca. Al centro dei colloqui è prevista la discussione sugli insediamenti
a Gerusalemme Est. Che tipo d’incontro sarà?
R. – Un incontro non facile.
Entrambi i leader corrono il rischio di perdere la faccia se dovessero fare marcia
indietro rispetto alle proprie posizioni. Netanyahu ha giocato tutto
sulla continuazione a pieno regime della colonizzazione in Cisgiordania e soprattutto
a Gerusalemme Est. Obama, in una serie di occasioni, ha fatto intendere il proprio
scontento nei confronti di questo tipo di politica.