A Roma la terza edizione del Senza Frontiere Film festival: pellicole e documentari
sul valore della fraternità e contro i pregiudizi
Ritorna a Roma per la terza edizione il Senza Frontiere Film Festival – Without Borders:
dal 7 al 9 luglio, alla Casa del Cinema, verranno proposte opere selezionate da cinematografie
di ogni parte del mondo con l’obiettivo di mostrare come esistano valori e speranze
che superano i confini politici, etnici, sociali e culturali che ci dividono. Il servizio
di Luca Pellegrini. Al di là della
paura, del pregiudizio e dell’ignoranza: ecco una serie di film e documentari che
raccontano come esistano tanti silenziosi operai di pace e testimoni di umanità. Ecco
una serie di film che ci aiutano a avere speranza, la speranza in un futuro di condivisione
e di pace. Un cinema fatto di racconti, di memorie, di metafore, di esplorazione dell’esistente,
di documentazione storica e di visioni utopiche. Una ricerca di temi e titoli che
ha coinvolto in prima persona Fiamma Arditi, direttore artistico
del festival, alla quale abbiamo chiesto che cosa significhi per lei un cinema capace
di raccontare un mondo senza frontiere.
R. - Tre anni fa, dopo aver
visto al Lincoln Center di New York un film che si chiamava “Knowledge is the beginning”
sulla West-eastern Divan Orchestra, fondata da Daniel Barenboim ed Edward Said dieci
anni fa - orchestra composta da giovani musicisti palestinesi, israeliani, siriani,
libanesi, che dimostrano con la loro vita che ce la possiamo fare ad andare avanti
insieme - quando sono uscita da quella sala cinematografica ho detto: dobbiamo raccontarlo,
dobbiamo farlo sapere a tutti che ce la possiamo fare". Ed è cominciata questa avventura
di un Film Festival. Direi si tratti proprio un’esperienza di vita, perchè strada
facendo, nella selezione di questi film, nella ricerca degli artsiti, abbiamo incontrato
delle persone straordinarie che lavorano in silenzio per raccontare come possiamo
andare avanti con gli altri, perchè gli altri in realtà siamo noi e noi siamo gli
altri. E allora abbiamo cercato film che raccontassero storie di vita di persone come
noi e di non persone straordinarie: persone come noi che vanno avanti con altri diversi
da loro.
D. - Acqua, apartheid nel Paese che accoglie quest’anno
i Mondiali di calcio, Haiti e le sofferenze del post-terremoto: che cosa accomuna
questi tre temi scelti dal Festival?
R. - Oltre a questi film, che hanno
tutti una finestra aperta sul domani o un raggio di luce che ci dice “sì, la situazione
è tragica, però ne possiamo uscire insieme”. Considerato che la situazione economica
in Italia, come nel mondo, è così difficile - e i soldi delle istituzioni, che dovrebbero
sostenere progetti umanitari, progetti culturali, non ci sono - devo dire che abbiamo
avuto la fortuna e la gioia di incontrare sul nostro percorso, quest’anno, delle aziende
private che credono nell’altro, che credono che il mondo non finisca in Italia, ma
continui in questa sfera che ci appartiene e appartiene ad ognuno di noi. Una cosa
molto importante, perché il nostro mondo non è fatto soltanto da noi, che siamo piccole
briciole senza nessun potere, ma a partire da noi e dall’alto, dove ci sono aziende
con esseri umani sensibili ai temi dell’altro, ai temi che sono vitali nel nostro
mondo oggi.