Stili di vita sani per salvare la memoria e proteggerla dalle malattie che la degenerano.
Intervista con il prof. Antonio Daniele
Come si formano i ricordi? A questa domanda cerca di rispondere la ricerca del prof.
Andrew Tobin, docente di Biologia cellulare presso l’Università di Leicester. Il suo
studio si basa sull'individuazione di una proteina, chiamata M3, ritenuta fondamentale
nel processo di formazione della memoria e della conoscenza. Si tratta di un contributo
scientifico che può rappresentare una nuova importante conquista nelle ricerche su
malattie, come l’Alzheimer, segnate da una progressiva e grave perdita di memoria.
Ma cosa è esattamente la memoria? Risponde al microfono di Eliana Astorri il
prof. Antonio Daniele, docente presso l’Istituto di neurologia del Policlinico
Universitario Agostino Gemelli di Roma:
R. – La memoria
è quella funzione cognitiva, grazie alla quale il nostro cervello è in grado di immagazzinare
nuove informazioni e di recuperarle quando possono essere utili. Le strutture cerebrali
in cui immagazziniamo le nuove informazioni, secondo la maggior parte degli studi,
si trovano a livello della corteccia cerebrale, situata nella parte più superficiale
del cervello. C’è un’ulteriore struttura, detta ippocampo, che si trova invece nel
lobo temporale, più in profondità, che invece facilita l’immagazzinamento di nuove
informazioni a lungo termine nella corteccia cerebrale. D. –
Cosa decide quello che ricordiamo e quello che dimentichiamo?
R.
– Questa è una domanda non facile. Si sa, comunque, che numerosi fattori possono incidere
nelle nostre capacità di memorizzazione. Si è visto che informazioni che hanno una
maggiore rilevanza dal punto di vista emozionale per l’individuo vengono memorizzate
più facilmente. E vengono memorizzate più facilmente quelle informazioni che, avendo
modo di essere ripetutamente memorizzate al soggetto, si consolidano nel tempo, quindi
sono un ricordo più stabile.
D. – Come possiamo mantenere
la nostra memoria? L’alimentazione, un esercizio mnemonico? Cosa possiamo fare?
R.
– Il primo obiettivo è quello di cercare di rallentare il declino cognitivo fisiologico
legato all’età e a questo scopo possiamo effettivamente cercare di adottare uno stile
di vita che, nei limiti di quelle che sono le nostre conoscenze attuali, possa favorirne
un rallentamento. Per quanto riguarda l’alimentazione, si è visto che alimenti particolarmente
ricchi di sostanze antiossidanti, come i polifenoli per esempio, contenuti in alcuni
tipi di frutta e verdura, possono diminuire fenomeni di ossidazione che, a livello
cerebrale, caratterizzano soprattutto l’invecchiamento fisiologico del cervello e
quindi migliorare le prestazioni di memoria. Tra gli alimenti particolarmente ricchi
di queste sostanze vi sono noci, fragole e mirtilli e particolari succhi, come quello
di pompelmo. Questi sono gli alimenti più ricchi di polifenoli. Altre sostanze antiossidanti,
anch’esse contenute nella frutta e nella verdura, come vitamina C e vitamina E, possono
appunto avere anch’esse un ruolo nel rallentare il declino cognitivo fisiologico.
D. – Possono fare la differenza anche dei comportamenti?
L’attenzione verso l’esterno, essere una persona curiosa?
R.
– Certamente. Il fatto di mantenere una vita intellettuale attiva, mantenere ricche
relazioni sociali, mantenere una curiosità e un interesse verso l’esterno, verso ciò
che ci circonda, è un fattore estremamente positivo. Si ritiene che tutte queste condizioni
possano in qualche modo agire aumentando il numero di sinapsi, i neuroni del nostro
cervello, e quindi aumentando le sinapsi è possibile in qualche modo che il cervello
diventi più resistente ai danni provocati sia dall’età che dalle patologie. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)