La vicenda dei 245 profughi eritrei e somali detenuti in Libia. Padre La Manna: il
silenzio su questa vicenda è una macchia sulle coscienze
Picchiati, torturati, maltrattati, per aver cercato di ribellarsi ai loro aguzzini.
E adesso, dei circa 250 eritrei trasferiti tre giorni fa dalle autorità della Libia
dal centro di detenzione libico di Misurata alle carceri di Seba e di Brak non si
sa quasi più nulla. Le loro richieste di aiuto finora sono arrivate tramite alcuni
connazionali, hanno fatto capire di essere feriti, di essere privati di cibo e acqua,
hanno parlato della loro paura di morire. E tutto questo per aver tentato di raggiungere
la salvezza: tra loro c’è chi è stato arrestato sulla rotta per Lampedusa, chi è stato
respinto dal canale di Sicilia, chi è caduto nelle retate della polizia libica a Tripoli.
Sono vere e proprie deportazioni, denuncia padre Giovanni La Manna, presidente
del Centro Astalli, che chiede di porre fine ai respingimenti dei richiedenti asilo.
Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. -
E’ con profonda tristezza che parliamo di deportazione perché è quello che stanno
vivendo queste persone – donne, bambini e uomini, per la maggior parte giovani – che
non solo non si vedono rispettate nella dignità di persone, ma vengono violate con
una volontà disonesta nei loro diritti. Queste persone sono abbandonate a se stesse
e il silenzio le condanna ulteriormente, ma non assolve per nulla le nostre coscienze.
Non vogliamo che delle persone muoiano perché abbiamo difficoltà ad accoglierle e
ci aspetteremmo una battaglia a livello europeo per dare un’accoglienza dignitosa
e soprattutto la possibilità di chiedere asilo a quanti ne hanno diritto.
D.
- Padre La Manna, tutta questa vicenda si sta effettivamente consumando sotto gli
occhi della comunità internazionale ma nel silenzio di tutti. Nessuno sta intervenendo
sulle autorità libiche affinché queste persone possano essere salvate. Perché?
R.
- Perché ci sono degli accordi con la Libia che prevedono questa parte di lavoro che
noi già non facciamo, ma abbiamo delegato la Libia a farlo in cambio di aiuti che
vedono l’impegno di notevoli risorse economiche. La protesta fine a se stessa non
ci interessa, non ci appartiene. Siamo preoccupati delle persone. Le nostre coscienze
non possono rimanere tranquille mentre accadono queste cose. Il silenzio fa passare
tutto come una cosa normale, ma è tremendo. La Libia non rende conto a nessuno di
che sorte hanno avuto queste persone. La Libia ha allontanato l’Acnur che era lì presente
per poter dire ciò che accadeva a queste persone. Le nostre coscienze si stanno macchiando
di un peccato che rimarrà nella storia dell’umanità.