Romano Prodi: il Mondiale di calcio, un contributo per incrementare il dialogo sulla
questione africana
Il Campionato del mondo di calcio in Sudafrca - che oggi vede disputare il primo turno
dei quarti di finale - rappresenta qualcosa più di un gioco per l'intero Continente.
Il Sudafrica pensa al futuro, si legge nel libro "Miracolo Africano" di Riccardo Barlaam
e Massimo di Nola, con prefazione di Romano Prodi, edito dal Gruppo 24 Ore. Ma nel
disincanto del turismo, dei nuovi posti di lavoro, delle infrastrutture, dei progetti
di nuovi quartieri moderni da costruire intorno agli stadi, resta irrisolto il nodo
della coesione sociale. La razza, dopo la fine dell'apartheid, continua infatti
a determinare scontri tra popolazione locale e immigrati africani a caccia di lavoro.
Luca Collodi ha chiesto a Romano Prodi, presidente del Gruppo di lavoro
Unione Europea-Unione Africana per le missioni di pace in Africa, se il calcio mondiale
può lasciare novità di sviluppo sociale ed economico non solo al Sudafrica ma a tutto
il Continente africano.
R. -
In un certo senso sì. L’Africa fa uno sforzo nel presentarsi come una novità al mondo,
come un protagonista di qualcosa che dà gioia, che è condivisa da tutti. Naturalmente,
è chiaro che non può essere questo lo strumento di soluzione del problema africano,
ma può rendere il problema alla portata di tutti.
D. - Il Mondiale in
Sudafrica può rappresentare anche un’occasione pre-politica per favorire un dialogo
tra gli Stati, anche sulla questione africana?
R. - In senso stretto
no, perché sono altri gli strumenti, ma ce lo avvicina certamente e, avvicinando i
popoli, in modo indiretto avvicina anche i governi. Nella realtà moderna, i processi
di dialogo sono molto più complessi che non in passato e certamente il Campionato
del mondo di calcio dà un contributo in questa direzione. Ma anche nell’aspetto più
drammatico li portano a contatto con tante persone in più di quante non ne fossero
prima. Questa è la funzione vera dello sport in questo momento.
D. -
Il libro parla di “miracolo africano”. Questo miracolo, secondo lei, si fermerà ai
primi di luglio, quando finiranno i Campionati del mondo, o il futuro del Sudafrica
e dell’Africa in generale può ripartire proprio dalla fine del Mondiale?
R.
- Il libro parla di “miracolo africano” ma “a macchia di leopardo”. In alcune zone,
c’è un risveglio, c’è una nuova forza, c’è un’identità e c’è anche una crescita, perché
l’Africa cresce intorno al quattro, cinque per cento e questo avviene già da qualche
anno. Non ha nulla a che fare con il Campionato del mondo, con le gare sportive. Finita
la gara sportiva, penso che lo sviluppo proseguirà, perché si inserisce in un nuovo,
grande processo.
D. - La presenza religiosa, in Africa, può aiutare
lo sviluppo? Intendendo anche lo sviluppo umano…
R. - Non solo può aiutare,
ma in molti casi è l’unica ancora. Ci sono intere zone in cui soltanto o i missionari
o le associazioni non governative - molte delle quali legate ad una profonda convinzione
religiosa - tengono un minimo di organizzazione strutturale della società, tengono
aperto quel minimo di scuole, di ospedali, dove l’organizzazione statuale manca. Vede,
in tutti questi casi l’attività missionaria o le associazioni religiose, o anche le
associazioni laiche non religiose, tengono il minimo di livello di vita che la non
statualità - o anche la corruzione - impediscono che venga mantenuto. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)