La Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura. Oltre 100 gli Stati
che ancora la praticano nel mondo
Crudele, degradante ed illegale. Sono i tre aggettivi che il segretario generale delle
Nazioni Unite riserva alla pratica della tortura e a chi la mette in atto. Nell’odierna
ricorrenza della Giornata internazionale in sostegno delle vittime di tortura, Ban
Ki-moon lancia un accorato appello a tutti gli Stati membri dell’Onu perché ratifichino
la Convenzione contro la tortura e la recepiscano come crimine nei loro ordinamenti.
Nonostante tutto, nel mondo almeno 111 Stati praticano ancora oggi la tortura a fini
politici ed intimidatori e le vittime sono milioni. Stefano Leszczynski ha
intervistato Fiorella Rathaus, responsabile del progetto Vittime di tortura
del Consiglio italiano per i Rifugiati:
R. – Innanzitutto,
la tortura – anche secondo l’ultimo Rapporto di Amnesty International – è a tutt’oggi
praticata in 111 Paesi del mondo: è un numero enorme se pensiamo che, appunto, tutti
gli strumenti e le Convenzioni internazionali ormai sono storia consolidata. Il divieto
di tortura è uno dei divieti più condivisi e il diritto a non essere sottoposto a
tortura è, assieme a quello di non essere ridotto in schiavitù, uno dei diritti che
non ammette nessun tipo di negoziazione e nessun tipo di deroga. Nonostante questo,
la tortura a tutt’oggi è estremamente diffusa. Noi vediamo che tra i rifugiati che
raggiungono l’Europa, il numero di quelli che hanno subito in prima persona esperienza
di tortura è altissimo: circa il 25 per cento dei rifugiati.
D.
– Questo è un tema particolare che potrebbe aiutare a far capire quanto è importante
concedere l’asilo…
R. – Sì, c’è questo filo rosso
tra questi due ambiti del diritto che dovrebbe farci riflettere sui rischi collegati
a tutti i respingimenti, che da un anno a questa parte caratterizzano la politica
italiana e l’accesso alla protezione.
D. – Anche
perché quando parliamo di tortura, la prima cosa che viene in mente è la tortura per
estorcere delle rivelazioni, la tortura a fini politici. Ma ci sono tanti altri aspetti…
R.
– Assolutamente sì. Questa è l’accezione più diffusa nell’immaginario collettivo.
Però sappiamo che la tortura è utilizzata soprattutto per far tacere le persone.
D.
– Si ha un po’ l’impressione che, negli ultimi tempi, la sensibilità nei confronti
del dramma della tortura sia un po’ calata a livello di opinione pubblica…
R.
– E' vero. Questo che era un tabù, in qualche modo, negli ultimi anni, è stato rimesso
in discussione proprio attraverso questa sorta di dibattito sull’utilizzo “positivo”
della tortura. Ebbene: non ci sono utilizzi “positivi” della tortura. Quello che vorrei
anche sottolineare è che a tutt’oggi, in Italia, il reato di tortura non è inserito
nel Codice penale: e questa è un’altra, grande finestra su questo complotto del silenzio
che da sempre circonda la tortura. Nelle varie legislature, ci sono stati vari disegni
di legge, depositati e non depositati. Però, alla fine, non si è mai arrivati ad una
legge sul reato di tortura.