Il cardinale Martins sull’eliminazione dell’Italia ai Mondiali di Calcio: agli
Azzurri sono mancati coraggio e motivazioni
I Mondiali di Calcio in Sud Africa proseguono offrendo emozioni e clamorose sorprese.
Ieri, l’Italia campione del Mondo in carica è uscita di scena, dopo la sconfitta per
3-2 contro l’esordiente Slovacchia. Gli Azzurri di Lippi tornano dunque a casa al
primo turno come la Francia di Domenech, che contro l’Italia aveva disputato la finale
a Berlino quattro anni fa. Sul fallimentare Mondiale dell’Italia, Luca Collodi
ha intervistato un appassionato di calcio d’eccezione, il cardinale portoghese
José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi: R. – Vedendo
le partite, uno auspicherebbe che ci fosse più chiarezza nel gruppo, perché chi vince
non sono i giocatori ma è il gruppo, la squadra ed è questo che un po’ è mancato.
Forse è mancata anche un po’ di fiducia nelle proprie possibilità, nelle proprie capacità.
Forse non si è avuta molto chiara questa consapevolezza: che si era su un palco mondiale
e tutti stavano giocando con gli occhi puntati sulle squadre in campo. Sarebbe stata
forse necessaria più verve, più coraggio, più entusiasmo, più unità tra i vari membri
della squadra.
D. – L’allenatore Lippi si è attribuito tutta la responsabilità
di questo fallimento mondiale per la nazionale italiana...
R. – Lippi
è stato un uomo estremamente onesto e va lodato per questo, ma mi pare chiaro che
la responsabilità di una sconfitta – o i meriti di una vittoria – non sono soltanto
degli allenatori, ma degli allenatori e dei giocatori insieme. Come si suol dire,
chi va in campo poi sono i giocatori. Questo è chiaro ed evidente a tutti. Anche qualche
giocatore italiano ha detto molto chiaramente che la responsabilità è dell’allenatore
e dei giocatori. E’ di tutti: ognuno nel suo campo, ognuno nel proprio settore.
D.
– I giocatori italiani sono apparsi stanchi, demotivati...
R. – Dipende
molto dal periodo di preparazione subito dopo il campionato, perché c’è stata talvolta
l’impressione che i giocatori non avevano quell’entusiasmo per il gioco, quel dare
cuore ed anima per la vittoria.
D. – L’Europa, con la Francia, l’Italia
e la Grecia, è sembrata soffrire molto questi campionati del mondo, quasi a testimoniare
una crisi sportiva in parallelo ad una crisi economica, spirituale e sociale del continente.
Lei è d’accordo?
R. – Certamente è un’analisi che viene in mente. Tra
le tante crisi europee c’è anche questa crisi calcistica. E’ curioso pensare che i
campioni del mondo, l’Italia, ed i vice-campioni, la Francia, siano stati entrambi
eliminati al primo turno. Questa è veramente una cosa che dispiace moltissimo e può
anche portare a riflettere sul perché, se si può parlare di una crisi anche calcistica,
dei valori del calcio, con tutte le conseguenze che questo comporta. C’è una specie
di globalizzazione della crisi e invece ci hanno dato un buon esempio, in questo senso,
sia l’Africa sia l’Asia, che sono state forse sottovalutate dagli europei e che invece
hanno mostrato, sul campo, un ottimo calcio, un calcio in cui tutti davano veramente
il tutto per tutto per la vittoria. E’ quello che è mancato agli europei, in alcune
squadre europee ed è risultato molto chiaramente nelle équipe sia africane sia asiatiche.
D.
– Questo mondiale in Sud Africa che cosa lascerà per lo sviluppo del continente africano?
R.
– Penso che il campionato in Sud Africa è un’occasione ottima che il Sud Africa non
può ignorare, non può perdere. Potrebbe e dovrebbe essere, secondo me, l’inizio di
una nuova epoca, di una nuova tappa e non soltanto nel campo sportivo ma anche nel
campo sociale.