2010-06-19 15:09:56

Il debito estero dei Paesi poveri, quando la cancellazione è marginale o fittizia. Il parere di Riccardo Moro


Ventotto Paesi in via di sviluppo hanno avuto la cancellazione del proprio debito. Un buon risultato ma ancora limitato rispetto al problema del debito nel mondo. E’ quanto emerso dal Rapporto sul debito 2005-2010 presentato ieri nell’ambito del seminario promosso dal “Tavolo giustizia e solidarietà” della Cei sul tema “A dieci anni dalla Campagna ecclesiale sul debito estero”. Quali dunque i risultati principali del documento? Linda Giannattasio lo ha chiesto a Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà:RealAudioMP3



R. - Dal punto di vista politico, ci dà un risultato positivo, perché se prima della campagna sul debito era un tabù parlare di cancellazione, oggi si usa il debito come uno strumento politico per favorire sviluppo attraverso le conversioni di debito, attraverso le cancellazioni e l’afflusso di nuove risorse. Ciò che è negativo è che i risultati positivi si sono determinati in un numero troppo ristretto di Paesi. Se noi guardiamo al complesso dei Paesi indebitati, che sono oltre un centinaio, solamente una quarantina sono stati presi in considerazione e 28 di questi hanno avuto una cancellazione reale. Nel rapporto c’è anche un bilancio di che cosa abbiamo fatto come Chiesa italiana, in modo particolare come fondazione “Giustizia e solidarietà” e si racconta delle operazioni in Guinea e Zambia che sono state un esempio, direi piuttosto positivo, di collaborazione tra soggetti della società civile e governativi del nord e del sud del mondo: sono stati finanziati – con la conversione del debito in questi due Paesi e l’aggiunta delle risorse raccolte durante il Giubileo da parte della campagna ecclesiale italiana – oltre 1100 progetti.

 

D. - Il Rapporto sottolinea diverse tecniche di riduzione del debito come la riconversione...

 

R. - L’idea fondamentale è che il Paese debitore non paga più i creditori, mettendo il denaro su un fondo che è amministrato dal governo e dalla società civile locale e questo fondo viene utilizzato per finanziare progetti di sviluppo presentati dalle comunità locali, dai soggetti, da associazioni, enti, Ong locali.

 

D. - In alcuni casi si parla di cosiddetti "fondi avvoltoio", ovvero quei fondi speculativi che acquistano a basso prezzo i debiti dei Paesi in via di sviluppo e poi chiedono al Paese debitore il rimborso del credito, chiedendo anche gli interessi...

 

R. - Succede che l’operatore senza scrupoli acquisti dei titoli emessi dal Paese e cerchi di rivalersi presso un giudice di uno Stato in cui quel Paese abbia delle proprietà, dicendo: io detengo questi crediti, il Paese "x" non mi paga, per favore confiscagli questa impresa e falla diventare di mia proprietà. Mostrano l’esigenza di una nuova architettura finanziaria internazionale, che serva non solo a gestire le situazioni di insolvenza, ma anche le situazioni di degenerazione come questa.

 

D. - Quali sono gli obiettivi per costruire una giustizia economica a livello internazionale?

 

R. - Costruire relazioni che siano umanizzanti, cioè promuovano la vita. Questo significa continuare a monitorare seriamente la dimensione finanziaria, prendere in esame anche le relazioni commerciali, c’è poi più ampiamente una questione di fiscalità internazionale, a livello internazionale il contributo in termini di aiuti è una forma di generosità. Bisognerebbe passare ad un sistema per cui è obbligatorio contribuire. Siamo un’unica comunità, sebbene sovranazionale, e tutti i membri di questa comunità, ricchi, poveri, cittadini del nord e cittadini del sud del mondo, vivono una uguale corresponsabilità di cittadinanza.








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